I problemi del PD dopo le primarie

di Sandro Antoniazzi

Le primarie del PD si sono svolte con successo, con una partecipazione oltre le aspettative, mettendo a tacere le solite cassandre di malaugurio che prevedevano/desideravano un possibile tonfo.

E hanno offerto anche un risultato sorprendente con la preferenza accordata a Elly Schlein rispetto a Stefano Bonaccini, persona decisamente più rappresentativa del partito attuale.

Il popolo ha scelto con decisione il “nuovo” tout court, rispetto a un candidato che si proponeva di innovare, per così dire, nella continuità.

Le primarie sono come un grande sondaggio, un referendum, che esprime il “sentiment” di un popolo; rivolgendosi direttamente al popolo rappresenta in sostanza una forma di populismo, sia pure in una forma positiva (perché si vota e per qualcosa d’importante).

Personalmente, forse perché appartengo alla passata generazione, preferirei che il segretario fosse scelto dagli iscritti al partito con lo strumento dei congressi, secondo i canoni usuali; ma certamente non senza dubbi, soprattutto dopo aver letto che nelle votazioni di partito a Potenza si sono espressi 4.000 iscritti tanti quanti nell’area metropolitana milanese.

Si apriranno presto i problemi da affrontare, peraltro già presenti.

Il PD non ha urgenza di scegliere le proprie alleanze, dato che le prossime elezioni, europee, rivestono un carattere proporzionale; ma più importanti delle alleanze sono i rapporti che dovrebbero rivolgersi sia verso sinistra sia verso il centro.

Calenda dà per scontato che la scelta fatta dalla base del PD sia una scelta di sinistra e che questo apra per lui nuovo spazio di conquista, ma i suoi calcoli si sono dimostrati sbagliati in passato e rischia di ripetersi.

I 5Stelle sono silenziosi, ma danno l’impressione di aver paura che il “nuovismo” della Schlein porti via loro del terreno (anche i molti 5S che sono andati a votare alle primarie, potrebbero essere un segnale in questa direzione).

Ci sarà da lavorare in entrambe le direzioni.

Preoccupazioni serpeggiano anche tra i cattolici, al di là del caso Fioroni: l’impressione è che si delinei una linea “radicale” per quanto riguarda la cultura politica, che potrebbe rendere difficile il confronto e la convivenza.

Elly Schlein si è subito precipitata ad affermare che intende rispettare le culture originali del PD, ma in verità non appartiene a nessuna di queste culture e rispetto ad esse costituisce piuttosto un corpo estraneo.

Ma i cattolici democratici dovrebbero evitare di trarre conclusioni affrettate perché se la Schlein si è affermata, significa che la cultura radicale non è sua personale, ma quella della maggioranza di chi ha votato.

Per parlare più esplicitamente, ormai questa è una cultura diffusa nella nostra società e se non di maggioranza, certo molto rilevante.

E pensiamo che se lo è a livello di società non lo sia anche nel PD? Pensiamo che il PD possa essere una cittadella esente da questa cultura e magari in grado di contrastarla?

Ormai i cattolici, ovunque siano, devono fare i conti con questa realtà, tanto nel PD che nella società.

Qualcuno vuol uscire dal PD per formare qualche piccolo gruppo più omogeneo alle proprie idee? I conti con questa cultura li dovrà fare comunque, perché è la società in cui viviamo.

Forse Bonaccini avrebbe potuto costituire un fattore di maggiore tranquillità, ma la sostanza dei problemi non cambia: è arduo il compito dei cattolici (e forse, ancor più, quello della chiesa), lo era prima delle primarie, lo è altrettanto adesso.

I cattolici democratici che sono molti – ma molto sparpagliati e spesso singoli – devono cercare di portare nella società e nella politica un proprio contributo positivo e devono dimostrare di essere in grado di formare politici validi, rappresentativi e capaci di essere punti di riferimento.

Niente è facile nella società di oggi; bisogna crederci e lavorare con modestia per un’opera costruttiva paziente.

 

Sandro Antoniazzi