Verso l’Europa che vogliamo

di Lino Duilio

In vista del ravvicinato appuntamento elettorale, sarebbe opportuno che coloro che ambiscono ad entrare nel prossimo Parlamento europeo assumessero a livello pubblico una posizione chiara ed impegnativa su alcune questioni che appaiono dirimenti per il futuro dell’Unione.

Trascurando le questioni pur importanti ma di carattere più settoriale su cui, non sapendo a quali commissioni saranno assegnati i neoeletti appare più difficile chiedere un impegno specifico e pubblico a chi si candida, vale forse la pena di soffermarsi sui temi di portata più generale su cui la prossima legislatura europea dovrebbe concentrarsi.

Questi, sintetizzando, si possono classificare in due categorie: la prima è quella che include le grandi questioni di fondo che attengono al ruolo, alle competenze e agli strumenti di azione dell’Unione europea; la seconda concerne invece questioni più specifiche ma di non minore importanza, perché sono quelle su cui poi l’Unione dimostra o meno giorno per giorno di poter incidere positivamente sulla vita dei cittadini e sul sistema produttivo. 

 

Alcune questioni di fondo

Riguardo alla prima categoria, il tema forse più rilevante, sul quale sono state già avanzate proposte concrete, riguarda la riforma dell’Unione Europea prima del prossimo allargamento.

Come è risaputo, si è ormai delineato un ampio accordo per l’adesione all’UE nei prossimi cinque o dieci anni dei paesi dei Balcani occidentali e forse dell’Ucraina.

L’Unione potrebbe pertanto avere nel giro di pochi anni circa 35 membri, numero che rende ancora meno gestibile l’attuale funzionamento dei meccanismi decisionali, soprattutto in settori come il quadro finanziario, le risorse proprie, la politica fiscale, per non parlare della politica estera e di sicurezza comune, in cui vige il principio dell’unanimità.
Accogliere i nuovi Stati membri è sicuramente fondamentale per le ambizioni geopolitiche dell’Unione ma, come è già avvenuto per l’allargamento del 2004, rischia di segnare la fine di ogni sogno di integrazione politica.  

Su questo punto, i nuovi deputati europei dovranno avere una visione chiara e concreta, non limitata ai soliti slogan.  

Sembra facile infatti individuare le priorità per ritoccare l’assetto istituzionale ma in una organizzazione complessa come l’Unione occorre definire un gioco di pesi e contrappesi accurato e equilibrato.  Slogan come quello di eliminare l’unanimità, prevedere l’elezione diretta delle più alte cariche, auspicare il rafforzamento del Parlamento europeo vanno bene solo se riempiti di contenuti e ben combinati tra loro.  

Il secondo tema di grande rilevanza sistemica è sicuramente quello della gestione dei flussi migratori. È stato di recente raggiunto un accordo su alcune proposte relative al nuovo patto per l’asilo e l’immigrazione, ma si tratta chiaramente di compromessi che non consentono all’Unione di gestire in modo adeguato un fenomeno che secondo tutte le previsioni è destinato a crescere. I risultati delle prossime elezioni europee confermeranno, a mio avviso, che questo è uno dei temi su cui più si giocano le campagne elettorali e che più si presta, per un verso, a strumentalizzazioni e, per altro verso, a sottovalutazione e slogan ideologici. Su tale fenomeno, dal carattere ineludibile, complesso e decisivo per il futuro prossimo e meno prossimo dell’Europa, si tende a semplificare molto e ad invocare o la chiusura delle frontiere oppure, all’inverso, l’accoglienza illimitata. Nella nuova legislatura, se si vorrà evitare di mettere in discussione i valori e l’identità stessa europea, sarà necessario definire soluzioni realistiche e ambiziose al tempo stesso. Innanzitutto, nelle more dell’adozione e concretizzazione di un effettivo Piano Marshal per l’Africa targato Unione Europea, attraverso un salto di qualità nella cooperazione con i paesi di provenienza e di transito. 

 

Questioni specifiche di grande portata

Passando invece ad alcuni temi di grande portata ma legati a provvedimenti specifici, ne evidenzio un paio, tra i tanti che si potrebbero richiamare.  

Il primo concerne sicuramente l’esigenza di definire il nuovo quadro finanziario e il nuovo sistema di risorse proprie dell’Unione Europea a partire dal 2028 (il quadro attuale scade nel 2027!). Come è noto, si è riusciti con molta fatica a febbraio a trovare un accordo al ribasso per una modesta revisione intermedia del quadro finanziario vigente al fine di stanziare risorse urgenti per Ucraina, immigrazione e politica industriale.  

Tutto lascia presagire che anche per il prossimo quadro settennale ci sarà una forte resistenza a qualunque salto di qualità sia in termini di dotazione finanziaria complessiva sia con riferimento alla proposta di rendere permanente o comunque di riproporre un meccanismo analogo al dispositivo per la ripresa e la resilienza (vale a dire il ricorso alla emissione di titoli sul mercato per finanziare, tramite sovvenzioni e prestiti, interventi di stimolo a crescita e occupazione).

Il nodo sotteso a queste difficoltà, su cui abbiamo balbettato in diverse occasioni anche nel parlamento nazionale, è quello delle risorse proprie a livello comunitario: se non si introducono risorse proprie dell’Unione, il cui gettito affluisca direttamente in misura consistente al bilancio europeo, il negoziato tra gli Stati membri si arenerà sulla logica del cosiddetto “saldo netto” di ogni stato nazionale. Ciascuno di questi, invocando il principio, sotto vari aspetti ubiquo e problematico, del cosiddetto “giusto ritorno”, sarà restio al cambiamento dello status quo: i paesi con un saldo netto negativo, compreso il nostro, faranno resistenza ad accrescere la propria quota per il bilancio comunitario, mentre quelli con saldo positivo chiederanno invano un aumento di risorse. In una situazione di tal fatta, è urgente maturare la consapevolezza che quella delle risorse proprie è però una questione cruciale, perché è inutile invocare nuove competenze o strumenti dell’Unione europea senza adeguare alle ambizioni le risorse complessive disponibili.

Last but not least, una ulteriore, importantissima questione, è quella che concerne la politica industriale a livello comunitario, vale a dire il modo in cui l’Unione Europea intende adeguarsi alle sfide poste dagli scenari globali sia in termini di accesso alle materie prime critiche e all’energia, sia in termini di ammodernamento del proprio sistema produttivo in termini di innovazione tecnologica, utilizzo dell’intelligenza artificiale e al tempo stesso protezione dei diritti dei lavoratori e, più in generale, dei livelli di occupazione.

In questa legislatura europea sono state approvate o sono in fase di approvazione alcune prime proposte in materia, come quelle sulle cosiddette materie prime critiche. È stato, ad esempio, raggiunto un accordo sulla cosiddetta legge europea per l’intelligenza artificiale. Siamo, tuttavia, ben lontani dalla definizione di una vera politica industriale europea. Il problema è come al solito quello dell’assenza di risorse per promuovere interventi adeguati secondo una cornice comune. Lo scorso anno la principale risposta dell’Unione all’IRA, l’Inflation Reduction Act, il piano approvato dagli Stati Uniti nel 2022, con una dotazione complessiva di 738 miliardi di dollari, dei quali 391 miliardi per l’energia e il cambiamento climatico, è stata quella di continuare ad allentare le regole in materia di aiuti di Stato. Ciò in sostanza per consentire a ciascuno Stato membro di intervenire a sostegno della transizione digitale ed ecologica dei rispettivi sistemi produttivi. 

Il risultato di questa logica di intervento comunitario è naturalmente quello di favorire i paesi, come la Germania e in generale quelli del Nord Europa, che hanno una capacità di bilancio e quindi un margine di intervento considerevole. L’Italia, come pure in misura minore la Francia ed altri paesi dell’Europa meridionale, non ha invece grossi margini, considerata la situazione di finanza pubblica e gli esiti deludenti della riforma del Patto di stabilità e crescita. Facendo ricorso alle sole risorse nazionali, è bene ribadirlo, rischia di allargarsi sia il divario in seno all’Unione europea, sia quello tra l’Unione Europea e paesi come gli Stati Uniti e la Cina che investono risorse pubbliche molto più massicce e soprattutto coerenti nell’ammodernamento dei propri sistemi produttivi. 

Nella prossima legislatura europea, in conclusione, occorrerà, da un lato, ridefinire la cornice strategica dell’azione comunitaria, dall’altro procedere con urgenza all’adozione di misure nell’ambito del quadro finanziario che accentrino a livello europeo il sostegno alla transizione. Obiettivo – quest’ultimo – da declinare attraverso un nuovo dispositivo per la ripresa e la resilienza, che definisca un nuovo metodo Pnrr. 

Su questo tema credo non sia ammessa alcuna approssimazione e, soprattutto, penso che occorra fuggire da ogni tentazione di ricorrere a meri slogan (del tipo chiedere genericamente gli eurobond o simili senza saper ragionare e negoziare sulla cornice generale, il che diventerebbe del tutto irrealistico).

 

La mission ardua del prossimo Parlamento europeo 

Impresa ardua, quasi impossibile guardando alla situazione attuale, si potrebbe definire forse quella della mission che attende il prossimo Parlamento europeo! Se non altro per il fatto che sulle decisioni degli stati membri grava, oltre l’immediata preoccupazione per gli interessi in gioco e la temibile sanzione elettorale per le decisioni che andrebbero assunte dalle forze politiche, il peso di una storia che non è facile trasferire sotto il cielo stellato di una statualità europea inevitabilmente più invasiva in termini di sovranità nazionale.

Il panorama geopolitico mondiale, però, è lì a costringere i tempi di alcune scelte ineludibili in un arco temporale di sempre più breve periodo. Il che induce forse noi cittadini europei e relativa rappresentanza istituzionale a fare nostro, parafrasando, l’invito rivolto ai cittadini statunitensi da J.F. Kennedy nel lontano 1961 come nuovo Presidente, invito dal grande valore politico e simbolico che recitava “Non chiedete cosa può fare il vostro paese per voi, chiedete cosa potete fare voi per il vostro paese”.

È un invito di pari valore e urgenza, oggi anche per noi, anche per l’Europa che vogliamo!