di Sandro Antoniazzi
È in corso in Occidente un rigurgito di antisemitismo, già presente nel 2023 e ora esploso dopo gli eccidi di Gaza.
È opportuno fare un po’ di chiarezza sull’antisemitismo per comprendere qual è la sua radice e quali sono i problemi da affrontare.
Un po’ di chiarezza è utile anche su un piano pratico onde evitare, come è capitato in qualche manifestazione studentesca (peraltro opportuna e meritevole) di condannare, insieme a Israele, anche gli ebrei: ma cosa c’entra un ebreo italiano o americano con le scelte di guerra di Israele?
La parola antisemitismo è nata in Germania alla fine dell’Ottocento per indicare una nuova posizione critica nei confronti degli ebrei: una posizione laica e non più religiosa (per cui si parla di nuovo antisemitismo o di antisemitismo moderno).
Se per secoli le persecuzioni antiebraiche sono state di carattere religioso (e quante responsabilità a riguardo hanno la Chiesa cattolica e la cristianità!) ora si dà vita a una nuova forma di antigiudaismo più laico e secolarizzato, i cui fondamenti sono la razza (era il periodo del trionfo del colonialismo che riteneva la razza bianca superiore a tutte le altre) e la doppiezza e diversità, attribuite agli ebrei.
Con la laicizzazione, la Rivoluzione francese aveva realizzato la “emancipazione” degli ebrei facendone dei cittadini uguali agli altri, togliendoli dalla segregazione in cui erano confinati, emancipazione presto diffusa in altri Stati.
Ma l’emancipazione non aveva risolto il problema perché considerava l’ebreo come un singolo individuo, mentre gli ebrei sono un popolo, anche se a quei tempi, e in larga parte ancora oggi, un popolo senza terra e sparso nel mondo.
Ciò costituisce effettivamente un problema, non sempre di facile comprensione: un ebreo italiano è nello stesso tempo membro del popolo italiano e del popolo ebreo; e mentre partecipa senza riserve alla vita del nostro paese è però fortemente legato, e spesso in modo più profondo, al mondo ebraico.
Da quando poi si è realizzato, grazie alla spinta del movimento sionista, lo Sato d’Israele, il legame si è diretto verso questo Stato; è difficile che gli ebrei critichino Israele, anche quando non sono d’accordo sulla sua politica, perché lo sentono come una cosa loro (a prescindere dall’intreccio di parentele e di amicizie che molti hanno in quel paese).
Anche se Israele ha ospitato nel tempo un’infinità di profughi (fuggiti da persecuzioni e da guerre) gli ebrei presenti in Israele non costituiscono la maggioranza, essendo circa 6 milioni su un totale stimato tra i 16 e i 18 milioni; un grande numero risiede negli Stati Uniti (altri 6 milioni circa) e 1,5 milioni in Europa (500.000 in Francia, 350.000 in Inghilterra, 100.000 in Germania). L’Italia si ferma a poco più di 30.000, mentre i paesi dell’Europa orientale che una volta accoglievano centinaia di migliaia di ebrei oggi ne accolgono qualche decina di migliaia.
Questi numeri stanno a indicare che la diaspora, per quanto diminuita dopo Hitler, le guerre e i pogrom, è sempre molto forte e solo in parte involontaria; spesso è una precisa scelta volontaria.
La Bibbia afferma che il Signore li ha dispersi perché facciano conoscere che c’è un unico Dio, ma anche più laicamente molti ritengono che la diaspora sia una condizione normale degli ebrei, destinata a durare.
Jacques Maritain, nei suoi scritti sulla questione ebraica, sostiene che “Israele” (quello che ha un’origine biblica), seguendo l’insegnamento di S. Paolo, che nella lettera ai Romani dedica ben tre capitoli al popolo ebreo da cui proviene, non è stato rigettato dal Signore e che pertanto fa parte di un disegno soprannaturale: è questo carattere spirituale di Israele ciò che gli attira odio e inimicizia.
La Chiesa cattolica, dopo l’esperienza della guerra e col Concilio vaticano II, ha rivisto profondamente la propria posizione, abolendo l’accusa di deicidio, riconoscendo di avere ricevuto dagli ebrei la rivelazione dell’Antico Testamento, deplorando “gli odii, le persecuzioni e tutte le manifestazioni dell’antisemitismo dirette contro gli Ebrei in ogni tempo e da chiunque”.
Con questa dichiarazione (“Nostra aetate”) sono cadute tutte le pregiudiziali cattoliche che così tanto hanno pesato in passato e certamente il nuovo atteggiamento ha contribuito ad attenuare le posizioni antisemitiche.
Uno scrittore ebreo, Abraham Yehoshua, noto in Italia, ritiene che la religione continui a rivestire un ruolo fondamentale nell’esperienza ebraica: nel popolo ebraico esiste un legame molto stretto tra nazionalità e religione, a datare da Mosè e dalla sua legislazione sul monte Sinai; la religione degli ebrei è solo loro e lo Stato ebraico non è realmente laico perché ha norme religiose che lo proteggono rispetto ai non ebrei.
La proposta – molto utopica – di Yehoshua consiste nello sciogliere questo legame: da una parte avremmo una religione non riservata solo agli ebrei, ma universale, aperta a tutti, dall’altra avremmo uno Stato laico alla pari di altri Stati, dove tutti ebrei e non ebrei possono partecipare a eguale titolo.
È difficile che ciò avvenga e in ogni caso riguarda tempi lontani, intanto dobbiamo confrontarci coi problemi di oggi.
Le manifestazioni antisemite attuali provengono da singoli individui o da gruppi abbastanza noti ed è bene attivarsi per fermarli; però ritengo che anche gli ebrei e Israele dovrebbero fare di più per farsi accettare dalla gente e dagli altri popoli.
Gli ebrei italiani non possono prende qualche posizione decisa, non critica di Israele, ma ad esempio a favore della realizzazione dei due Stati?
E Israele non dovrebbe ragionare sul fatto che a livello mondiale la maggior parte degli Stati sono ostili nei suoi confronti?
Quando si vota all’ONU si verifica una maggioranza schiacciante contro Israele: è vero che poi non succede nulla perché c’è il veto USA.
Ma Israele non sente la necessità di stabilire diversi rapporti con gli altri paesi, senza ricorrere ogni volta alla protezione USA, cominciando naturalmente in casa propria, dal popolo palestinese?
Oggi molti antisemitismi nascono dalla critica a Israele: occorre frenare l’antisemitismo, ma occorre anche un’iniziativa non di guerra (in questo gli israeliani sono indubbiamente capaci), ma di pace da parte di Israele, che aprirebbe finalmente prospettive di speranza e di conciliazione.
Sandro Antoniazzi