PD, cattolici, diritti individuali, questioni morali

di Sandro Antoniazzi

Pierluigi Castagnetti ha scritto per L’Eco di Bergamo del 30 aprile scorso un chiaro articolo sui cattolici e il PD, da sottoscrivere pienamente.

Uno spazio considerevole è dedicato al tema dei diritti civili, ma più specificatamente alla GPA (gestione per altri) in quanto motivo principale delle contese e delle preoccupazioni di questo periodo.

Vorrei soffermarmi sul problema dei diritti perché ogni volta che si affronta un diritto naturale collegato alla vita (fecondazione artificiale, diritti alla morte in determinati casi, diritti degli omosessuali, senza dimenticare i lontani contrasti sull’aborto) i cattolici si trovano sempre in difficoltà, in una posizione sostanzialmente difensiva.

I diritti individuali sono sorti con la Rivoluzione francese e quella americana all’inizio dell’epoca borghese e hanno trovato una proclamazione universale in epoca moderna nel 1948, dopo la Seconda guerra mondiale.

L’affermarsi dei diritti ha significato il tramonto di una società e di una politica che avevano al loro centro il potere del Sovrano, per riconoscere un ruolo privilegiato all’individuo, alla persona, con le sue esigenze (la libertà, la sicurezza, la proprietà, la felicità).

Così l’epoca moderna ha come figura centrale l’individuo e la Chiesa, se col Vaticano II ha dichiarato di volersi aprire al mondo, non può non prendere atto di questa evoluzione, che del resto sperimentiamo ogni giorno.

A suo tempo lo Schema 13, la Gaudium et Spes, è stato molto dibattuto perché introduceva una teologia nuova; secondo Congar si passava da una teologia deduttiva e astratta a una teologia induttiva e concreta.

Ora i diritti hanno propria questa caratteristica, che nascono dalla vita concreta della gente: sono bisogni ed esigenze che una volta rielaborati e razionalizzati, diventano proposte che poi si propongono per il riconoscimento.

Difficilmente si può pensare di applicare regole generali permanenti a problemi sempre nuovi e diversi: la morale qui si trova nella stessa condizione della teologia consiliare, deve trovare il modo di conciliare il tradizionale metodo deduttivo con un metodo più aderente alla realtà.

La Chiesa, per affrontare questi problemi, ricorre alla legge naturale e rivendica la propria autorità nell’interpretarla: che esista un’esigenza etica e che la Chiesa abbia una funzione a riguardo è fuori discussione, ma le condizioni di questo intervento meritano qualche precisazione.

I dettami morali, per quanto ascritti alla legge naturale, non sono materia di rivelazione, ma sono regole morali umane, che la Chiesa per prima dichiara essere tali, perché ciò giustifica il fatto che non riguardano i fedeli, ma bensì tutti gli uomini.

Ma se riguardano tutti gli uomini, ne deriva che allora compete a tutti gli uomini discuterle e definirle.

Ricordiamo la Rerum Novarum: il Papa Leone XIII, per proporre per la prima volta la dottrina sociale della Chiesa all’intero genere umano, ha fatto ricordo al diritto naturale: sono diritti naturali il diritto al lavoro il diritto al giusto salario, il diritto di associazione, il diritto dello Stato di intervenire.

Ora è evidente che questi diritti, conformi al diritto naturale, sono largamente diritti storici, maturati nel tempo, prima nella società e poi nella Chiesa.

Se poi riflettiamo un momento sulla legge naturale, possiamo ricorrere a Maritain secondo cui non si tratta di concetti razionali, ma di una conoscenza che si può avere solo analogicamente o per via connaturale, dunque non in una forma chiaramente definita; più autorevole è comunque il ricorso a San Paolo che nella Lettera ai Romani, parlando dei pagani (di ieri e di oggi) dice che “quanto la legge esige è scritto nei loro cuori come risulta dalla testimonianza della loro coscienza”(Rom.2,15).

Ora questa legge naturale si può tradurre nella regola d’ora “non fare agli altri ciò che non vuoi sia fatto a te” o, positivamente, “fai agli altri ciò che vorresti fosse fatto a te”; affermazione quest’ultima che non si discosta molto dal comandamento evangelico “Amerai il prossimo tuo come te stesso”. Qui, insomma, sta la sostanza della legge naturale.

Ritorniamo alla GPA, alla fecondazione artificiale, al diritto a morire: di fronte a questi problemi spesso ci si trova, più che a formulare precise posizioni morali circoscritte, a ricorrere a principi di carattere generale.

A me sembra che in queste situazioni la posizione primaria e più importante che i cristiani dovrebbero sostenere è la necessità di una riflessione etica, di non lasciare che questi problemi siano affrontati con leggerezza, con faciloneria, come se fossero problemi di avanguardia e non invece problemi delicati di coscienza (e di coscienze che devono maturare).

I cattolici non devono difendersi, ma devono invece proporre un confronto etico aperto, dove non si oppongono un SI e un NO già chiaramente definiti, ma dove si confrontano ragioni, motivazioni, spiegazioni che arricchiscono gli uni e gli altri.

La prima esigenza è affermare l’eticità delle questioni, come problema comune, da affrontare assieme.

E poi a proposito del polverone sulla GPA: tutto è sorto, strumentalmente, per l’iscrizione all’anagrafe dei figli di otto coppie gay (dico otto, ripeto otto).

Ogni giorno milioni di lavoratori sono defraudati dei loro salari, ogni giorno c’è chi vive di rendita a scapito di tante persone, ogni giorno ci sono guadagni esorbitanti di manager e capitalisti: denari tolti a famiglie che vivono nel bisogno. Sono fatti morali gravissimi di ben maggiore peso umano vissuto che non il tema delle GPA.

Occorre chiaramente raddrizzare la gerarchia di ciò che è grave moralmente se vogliamo realmente cambiare la società.

E poi facciamo attenzione: cinquanta anni fa come cattolici guardavamo all’omosessualità come alla peggiore delle perversioni. Oggi invece si è pervenuti a un riconoscimento comunemente accettato. Anch’io sento istintivamente contrarietà alla GPA, però non scandalizziamoci e non demonizziamo, cerchiamo di vedere serenamente il problema, guardando avanti, a cosa sarà domani.

Per concludere, spero sinceramente che i cattolici nel PD e in politica, non si distinguano per essere quelli che si trovano a difendersi su questi temi dei diritti; abbiamo certamente da portare idee su questi problemi e soprattutto abbiamo proposte e valori per pensare a una politica in grande, a un cambiamento radicale di carattere sociale, che integri e trasformi l’economia capitalistica, ad esempio con le proposte di partecipazione dei lavoratori nelle imprese e con l’idea di un’economia sociale.

 

Sandro Antoniazzi