Ragionando di pace e guerra

di Mario Giro

Intervento di Mario Giro, Presidente nazionale di DEMOS, già sottosegretario agli Affari Esteri, all’incontro di Milano Solidale sull’Ucraina di sabato 12 marzo 22 al Circolo Acli Lambrate

Scalinata della corazzata Potèmkin a Odessa, Ph. Laura Lucia Esposto

 

La guerra che il presidente russo Vladimir di Putin ha voluto contro l’Ucraina ci ha travolti tutti, gettandoci indietro di 80 anni. Le immagini che vediamo sembrano venire da un’altra epoca: assomigliano alla seconda guerra mondiale con battaglie di carri armati, esattamente come avvenne tra il 1940 e il 1945 in quelle stesse terre. L’invasione dell’Ucraina riporta la guerra nel cuore dell’Europa e rappresenta una decisione politica folle : non c’è stata provocazione armata e conseguentemente si tratta di un’aggressione senza giustificazioni dal punto di vista storico-politico. La responsabilità di tale scelta ricade dunque sulle spalle dell’attuale leadership russa ed è presumibile che gli effetti di tale decisione dureranno per lungo tempo, anche dopo l’arresto dei combattimenti.

Davanti a tanta violenza è istintivo schierarsi, polarizzandosi e rifiutando di accettare approfondimenti e riflessioni critiche. Si sente spesso dire in questi giorni: inutile (o dannoso) spiegare; occorre solo condannare. Ma noi qui dobbiamo al contrario recuperare lucidità e provare a chiederci perché ciò è avvenuto; quali ne saranno le conseguenze a breve e a lungo termine; come immaginare il ritorno alla pace. Anche i paralleli storici che sentiamo moltiplicarsi in queste ore devono essere fatti con attenzione: riferirsi alla seconda guerra mondiale o alla guerra nei Balcani degli anni Novanta può essere utile ma è bene rammentare che ogni conflitto è diverso dagli altri anche se le immagini –come ho appena detto- paiono ricordarcene di vecchi.

Sicuramente come italiani non possiamo non ripartire dal dettato della nostra Costituzione (art 11) che ci ricorda sempre dell’inutilità della guerra. Com’è già accaduto con le guerre del Golfo e in Medio Oriente, o nel conflitto afghano o durante le guerre dell’ex Jugoslavia, è facile constatare che il conflitto armato non risolve i contrasti o le crisi internazionali, anzi li peggiora. A guardare con attenzione la lezione della storia, soprattutto quella recente, è questo che salta agli occhi: quale guerra ha mai risolto qualcosa? Addirittura c’è quasi da ammettere che nessuno è più in grado di vincerle davvero. Dovrebbe ormai essere abbastanza evidente che si tratta di uno strumento obsoleto, dannoso e che alimentarlo non porta a buoni risultati. Per questo la tradizionale politica repubblicana del nostro paese, dal dopoguerra in poi, è quella del dialogo, delle mediazioni e di un atteggiamento in genere assai moderato davanti alle crisi.

La guerra in Ucraina non è iniziata il 24 febbraio scorso ma era già cominciata nel 2014 con l’annessione della Crimea e la ribellione di una parte delle provincie di Lugansk e Donetsk al governo centrale di Kiev. La crisi aveva permesso a Mosca la mossa dell’annessione con un chiaro intento strategico: riprendere il controllo del porto di Sebastopoli e, mediante di esso, della propria influenza diretta su gran parte del mar Nero. L’atteggiamento occidentale davanti a quelle mosse politico-militari è stato un misto di indifferenza e di incomunicabilità. Quasi nessuno ha voluto prendere sul serio le iniziative russe ma nemmeno ha deciso di parlarci. A parte la cancelliera Merkel che negoziò gli accordi di Minsk 2, nessun altro leader occidentale desiderò confrontarsi con Putin pensando che le interazioni economiche sarebbero bastate a tenere a freno le rivendicazioni russe. Ciò che non si è voluto vedere sono state le possibili conseguenze dei rinascenti nazionalismi russo e ucraino in lotta fra loro.

Una delle cose che lucidamente dobbiamo constatare è che tra Putin e i nostri leader occidentali almeno dal 2014 (ma forse si potrebbe risalire alla crisi della Georgia del 2008) non c’è più stata alcuna vera forma di comunicazione né tanto meno di negoziato politico. Siamo giunti a questo punto proprio a causa dell’incomunicabilità, mentre durante la Guerra fredda c’era il telefono rosso e le due parti si parlavano sempre. Non si può scambiare la contrattazione commerciale (vedi il gas ma non solo) per il negoziato politico. Questo è semmai l’abbaglio occidentale del post Guerra fredda: credere che tutto si possa risolvere con il mercato. Aver pensato di trattare Mosca solo con il commercio è stato un inganno che ha umiliato i russi. Non si tratta di un giudizio di merito: prendo solo in conto la vasta pubblicistica russa in cui si descrivono quegli anni (i ‘90) come un momento molto basso nell’autostima russa e nella loro reputazione all’estero, un periodo in cui le imprese occidentali si precipitarono a comprare per poche lire tutto ciò che c’era da comprare. Da superpotenza globale in breve tempo la Russia cadde in povertà e si trovò nel caos in cui nacque il fenomeno degli oligarchi ma soprattutto in cui la società russa piombò in una fase di diseguaglianza mai vissuta prima. Penso ai milioni di anziani russi che si videro le pensioni ridotte a pochi rubli svalutati, letteralmente ridotti al freddo e alla fame.

Basta leggere i libri della premio Nobel bielorussa (di madre ucraina) Svetlana Aleksievič, che anche recentemente ricordava come più del 60 per cento dei russi resti favorevole a Putin anche oggi, ritenendo che sia stato il leader che ha fatto rialzare la testa al loro paese schiacciato dal sistema liberistico occidentale. Non credo che l’opinione pubblica europea abbia sufficientemente compreso le conseguenze sociali e il vuoto morale lasciati dalla caduta dell’Urss. Non giustificando in nessun modo la guerra di aggressione contro l’Ucraina, dobbiamo sapere che questo è il clima in cui Putin ha potuto affermare il suo potere, coltivare il revanscismo russo e alla fine scatenarlo contro Kiev. Da un punto di vista storico-politico si tratta di un fatto da analizzare proprio perché sappiamo bene come tali sentimenti possono essere manipolati da una leadership senza scrupoli. Ciò può avvenire dovunque: la strumentalizzazione delle emozioni fa parte dell’aria del tempo. Non dimentichiamoci che varie destre sovraniste europee in questi anni hanno indicato la Russia di Putin come un modello da imitare…

Sulle responsabilità non ci possono essere dubbi: è evidente che attaccando l’Ucraina la Russia è passata totalmente dalla parte del torto, aggredendo la pace europea. La Nato può aver avuto delle responsabilità in passato -come l’essersi allargata senza prendere sul serio le preoccupazioni di Mosca- ma non c’è stata provocazione o minaccia armata. C’è quindi un solo responsabile: il presidente Putin e il suo governo della Russia.

Né la Russia né la Nato dicono di volere andare in guerra l’una contro l’altra. Soprattutto la Nato non desidera allargare il conflitto attuale. Per questo è utile rammentare che ogni iniziativa militare, anche indiretta (si parla ad esempio di aerei da guerra oltre che di consegna di armi), può farci fatalmente scivolare sulla china che pur diciamo di non volere. Non si può essere leggeri, emotivi o istintivi a tale riguardo, nemmeno con le parole. Purtroppo anche sui media italiani si accavallano editoriali che assomigliano a proclami piuttosto che ad analisi lucide. La pericolosità della situazione consiglia molta più calma e pacatezza di giudizio.

La prima cosa da fare ora è fermare i combattimenti e consolidare una tregua che divenga presto definitiva. Per tornare alla pace occorre attivarsi politicamente e riservatamente. È davvero questa l’unica cosa che conta. Sostenere che non sia il tempo del dialogo è fuorviante: è sempre il tempo del negoziato, soprattutto confidenziale e certo non a favore di telecamera. Purtroppo pare che le classi dirigenti odierne siano schiave di un eccesso di comunicazione. Parlarsi in questi casi avviene con trattative segrete: troppa luce acceca.

È utile sottolineare che in qualunque caso si arriverà ad un negoziato: meglio dunque giungerci il prima possibile per abbreviare le sofferenze dei civili e affinché non divenga una resa incondizionata. Una trattiva di questo tipo è sempre penosa: si devono fare concessioni anche su ciò che si prima sembrava inaccettabile. Il presidente ucraino ha affermato recentemente di essere disposto a discutere anche sullo status della Crimea e del Donbass e sulla neutralità del paese. Si tratta degli argomenti sui quali l’Ucraina stessa e gli occidentali non avevano voluto discutere con Mosca, salvo qualche generica rassicurazione. È il segno che nel compromesso si può acconsentire di perdere qualcosa, da entrambe le parti, per mantenere l’essenziale. Anche la Russia deve accettare di discutere con una leadership che fino a l’altro giorno definiva “nazista e drogata”.

Esiste tuttavia il problema del mediatore: ciò che è avvenuto finora tra russi e ucraini non è un vero negoziato perché è senza osservatori e senza mediatori, risultando troppo fragile. Si discute se la Cina possa essere una forza mediatrice ma si tratta di una potenza troppo grande per svolgere tale ruolo (sempre che lo desideri) e occorre guardare piuttosto ai tentativi turco o israeliano. Purtroppo l’Europa e l’Italia si sono messe fuori gioco come mediatori possibili. La guerra è anche la conseguenza del fallimento degli accordi di Minsk, che oggi tutti trascurano. Ci si chieda cosa non ha funzionato e si riparta da chi mediò quell’accordo, Angela Merkel, forse la sola leader europea che ha ancora l’autorevolezza intatta per parlare con Putin.

Demonizzare l’avversario o dargli del folle non serve, anzi rende le cose ancora più pericolose e fuori controllo. Analizzare gli avvenimenti in termini psichici o psicologici è tipico dello spirito di questo tempo ma quando si tratta di guerra è bene ricordare che tutto gira sempre attorno agli interessi nazionali. Certamente aggredendo l’Ucraina, Putin ha trascinato la Russia in un isolamento che rischia di durare. Qualcuno sostiene che si dovrà attendere una nuova leadership a Mosca per girare pagina e riprendere una piena cooperazione in Europa, tale è il tasso di diffidenza che ora regna tra le parti. Tuttavia troppo isolamento porta ad avere l’effetto opposto a quello ricercato: malgrado le manifestazioni di coraggiosi moscoviti contro la guerra, la gran parte della popolazione russa sa poco di quello che accade e resta schierata con il suo leader. Cacciare la Russia da ogni foro internazionale fa il gioco di un sistema che sta chiudendo il paese in una gabbia. La storia insegna che esagerare nel mettere la Russia con le spalle al muro è sempre pericoloso.

In questo senso le sanzioni decise dall’occidente sono pesantissime ma dobbiamo essere coscienti che gettano la Russia nelle braccia della Cina. Anche qui ci vuole lucidità per non lamentarcene in seguito. L’interesse dell’Europa e degli Usa è invece ricostruire un sistema internazionale cooperativo con la Russia, a partire dal nostro continente. Nel 2014, dopo l’annessione della Crimea, Henry Kissinger (non propriamente un pacifista) ha scritto: «Trascinare l’Ucraina in un confronto tra est e ovest impedirà per decenni di portare la Russia in un sistema internazionale cooperativo». Purtroppo siamo giunti a questo punto ma non è saggio peggiorare la situazione mettendo a repentaglio il futuro. Mettere le sanzioni dovrebbe anche condurci ad essere conseguenti: smettere subito di comprare il gas russo e accettare di soffrire – almeno un po’ – con gli ucraini.

La cosa più importante da dire è che la guerra ha una sua logica interna che nessuno – nemmeno Putin –può controllare: continuarla o rafforzarla può condurre a gravi conseguenze inattese. Chi la inizia non è detto che sappia come concluderla. Allo stesso modo tutti i nazionalismi europei (nessuno escluso) sono terribilmente letali: hanno già causato due guerre mondiali. Nutrirli provoca solamente nuovi lutti, come la storia insegna. Per questo i bellicismi e l’emotività non sono il modo più utile e saggio di reagire al dramma attuale. La guerra non è ineluttabile: è sempre una scelta politica dei leader che quindi può essere invertita. È ciò che speriamo accada presto anche per l’Ucraina.