Il lavoro dei fragili

di Adriana De Benedittis, sportello sociale e del lavoro di Lambrate

Il tema del ‘lavoro dei fragili’ è un argomento complesso, nel senso che prevede la considerazione di una pluralità di questioni (letteralmente di domande e quesiti) a cui porre attenzione, cercare di rispondere e soprattutto da collegare tra loro in un quadro il più possibile organico, sebbene sempre aperto.

Innanzi tutto occorre definire da un punto di vista sociologico la categoria dei fragili, poi specificarla in termini di dinamiche lavorative e ipotizzare conseguenti e possibili contesti e linee di intervento.

Dire ‘fragili ‘ non significa immediatamente riferirsi agli ultimi e agli emarginati, perché la fragilità indica una condizione più ampia di incertezza, vulnerabilità, esposizione di persone che sono nella necessità permanente di confidare e affidare parti sempre più ampie della propria vita ad altri.

Tale condizione caratterizza fasce sempre più ampie di persone perché è strettamente legata all’attuale sbriciolamento dei legami sociali, lavorativi, familiari, a situazioni di isolamento, di precarietà e vulnerabilità; l’incrinarsi, anche temporaneo, di biografie personali e/o lavorative, e la scarsità di risorse individuali e collettive con cui farvi fronte porta ad ampliare la categoria dei nuovi poveri che caratterizza la cosiddetta ‘società dei due terzi’; accanto a una fascia alta di ‘garantiti’ in possesso di risorse materiali e culturali adeguate e a quella bassa dei ‘marginali’ , tradizionalmente intercettati e seguiti dai servizi sociali e dal terzo settore, si trova una fascia intermedia di nuovi poveri e vulnerabili: persone che fanno fatica ad arrivare a fine mese, con povertà di reti di sostegno, che perdono temporaneamente (ma anche per un tempo medio lungo) il lavoro e che non sono in grado di chiedere aiuto (perché non lo hanno mai fatto).

Insomma è la condizione sempre più diffusa del ceto medio, difficile da intercettare, che rischia per questo di divenire invisibile e scivolare nella fascia bassa dei marginali.

Pertanto la vulnerabilità è una condizione di fragilità che segna persone non necessariamente di per sé deprivate ma che faticano sempre più ad integrarsi in processi di cambiamento sociale e lavorativo.

Naturalmente il lavoro diventa la questione principale: tra i fragili/vulnerabili c’è chi non ha il lavoro, chi ha un lavoro precario o irregolare, chi non guadagna abbastanza ed è in cerca di una integrazione al reddito. In ogni caso la perdita del lavoro o la sua precarizzazione incidono profondamente sulla tenuta dei legami familiari e sociali in una dinamica circolare al ribasso di causa-effetto: le problematiche lavorative condizionano negativamente le situazioni personali e la stessa tenuta psico-fisica, che a loro volta ostacolano pesantemente un cammino di reinserimento socio-lavorativo. A questo proposito è fondamentale porre attenzione alle differenze, sia di genere che culturali: soprattutto i condizionamenti familiari sono molto influenti sulle donne e in particolare le donne immigrate, anche se da dati Caritas (‘Sedicesimo rapporto sulle povertà nella diocesi di Milano – 2017’) risulta che la disoccupazione di lungo periodo è un problema soprattutto maschile e quella di breve periodo è femminile, a fronte della tendenza delle donne immigrate a rinunciare al lavoro professionale a favore di quello domestico una volta ottenuto il permesso di soggiorno. Ma come non pensare all’aumento del divario di genere, che riguarda sia le donne italiane che straniere, negli attuali tassi di disoccupazione tra uomini e donne e nell’accresciuto peso del lavoro di cura (a proposito, anche la dimensione della cura ha tutte le caratteristiche del lavoro sia per le dinamiche e le competenze che contiene sia per il valore sociale ed economico che produce ed è ormai imprescindibile ragionare nei termini della conciliazione tra lavoro di cura e lavoro professionale).

Quali sono le possibili proposte di soluzione o meglio di fronteggiamento, quali piste seguire soprattutto a fronte della crisi socio-sanitaria attuale? Tra le missioni indicate dal PNNR (Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza) colpiscono alcune indicazioni contenute nella Missione 5 di Inclusione e Coesione sociale. Innanzi tutto per quanto riguarda le politiche per il lavoro si parla di potenziamento dei Centri per l’impiego e una integrazione di questi con i servizi sociali e gli operatori privati, facendo anche un esplicito riferimento alla necessità di una presa in carico dei disoccupati nel senso di politiche attive, del lavoro e della formazione, personalizzate. Ma non solo si mette in luce che le situazioni di fragilità sociali ed economiche siano intercettate e supportate all’interno di un contesto comunitario.

E ancora nell’ampio e articolato documento ‘Milano 2020. Strategie di adattamento’, elaborato in piena pandemia ma con uno sguardo aperto al futuro, si sottolinea la necessità di investire risorse non solo nel sistema produttivo ma anche per sostenere i servizi, per gli investimenti pubblici, per aiutare coloro che si trovano in situazione di bisogno, in particolare per offrire possibilità a coloro che erano in difficoltà già prima della crisi pandemica e che rischiano di essere espulsi in modo drastico dal mondo del lavoro.

Tutto ciò ha varie implicazioni: prima di tutto il coinvolgimento nella governance delle istituzioni pubbliche ai vari livelli, soprattutto quello locale, le parti sociali, il terzo settore e il volontariato (le reti informali del cosiddetto quarto settore), la necessità di mappare le nuove emergenze, la ridefinizione di un piano di reinserimento lavorativo per i più vulnerabili, con particolare attenzione alla occupazione femminile (di cui si parla ampiamente anche nel PNRR), e soprattutto la predisposizione e la riscoperta della dimensione di quartiere (città a 15 minuti) in modo che ogni cittadino abbia accesso ai servizi essenziali (tra cui anche quelli socio-lavorativi e socio-sanitari) entro quella distanza.

Pertanto la dimensione in cui è opportuno muoversi e progettare, soprattutto in questo periodo di postpandemia e a fronte di un considerevole aumento della categoria dei ‘fragili’, è quella del welfare locale o comunitario; le città e il territorio sono sempre più attori di primo piano nella promozione del benessere con una funzione di protezione e sostegno di individui e collettività.
I Comuni (e si auspica anche i Municipi in un’ottica di progressivo decentramento) hanno un ruolo primario di coordinamento nella costruzione di partnership e reti locali (reti primarie, terzo settore, servizi pubblici) che vanno a formare cerchi concentrici di sostegno, secondo anche quanto previsto dalla legge quadro 328/2000, laddove, all’articolo 1, si prevede l’organizzazione dei sevizi secondo i principi di pari opportunità e sussidiarietà orizzontale e verticale.

Anche i Municipi (istituiti con Regolamento del Comune di Milano nel 2016) possono accompagnare molti dei processi fin qui descritti, soprattutto prevedendo un aumento dei poteri degli stessi Municipi a favore dei servizi alla persona, tra cui i servizi socio-lavorativi (attualmente su tutta la città di Milano esiste una sola sede del Centro per l’impiego, a cui in periodo di pandemia si può acceder solo on-line e da remoto, con un effetto paradossale di disorientamento, piuttosto che di orientamento e accompagnamento al lavoro, sui cittadini). Infatti, come si legge da Regolamento, sono proprio i Municipi ad essere ‘organismi di partecipazione, consultazione e gestione dei servizi di prossimità presenti sul territorio’ e a promuovere in primo luogo l’informazione e la partecipazione dei cittadini.

A livello istituzionale i Municipi sono parte integrante del Piano Comunale del Governo del territorio, secondo il principio di sussidiarietà, a livello operativo sono predisposti a intervenire nei processi di ‘promozione del benessere dei cittadini, nei processi di coesione sociale e di prevenzione dei fenomeni di esclusione’, innanzi tutto favorendo la comunicazione con i cittadini, l’informazione sui servizi essenziali, anche socio-lavorativi, predisponendo Tavoli Territoriali composti da rappresentanti del Municipio, enti, associazioni e promuovendo e sostenendo forme di progettazione partecipata.

Per riprendere il tema del ‘lavoro dei fragili’ , che non può che essere considerato a livello territoriale e in ottica socio-lavorativa, la proposta è quella di una possibile coprogettazione in un’ottica di progettazione generativa. Si tratta di coinvolgere tutti gli attori del territorio (ente locale, terzo settore, volontariato, reti informali) nella costruzione condivisa del problema, che prevede la condivisione delle esperienze, delle competenze e delle funzioni dei vari attori, la predisposizione di un’indagine sulla popolazione di riferimento (i bisogni socio-lavorativi ed economici delle persone in condizioni di forte precarietà lavorativa
e/o disoccupati di medio lungo periodo con scarse competenze e poco spendibili sul mercato del lavoro, isolati con poche reti sociali) e la ricognizione sia delle risorse territoriali già presenti che dei limiti.

Le azioni progettuali che ne conseguono non sono semplici risposte ad obbiettivi, ma vere e proprie strategie di risposta che coinvolgono tutti gli attori della rete territoriale e la stessa comunità e producono dei nuclei generatori definibili come micro-progetti o interventi permanenti, così da creare ‘buone pratiche’ sulla falsa riga del progetto QUBI, nato per contrastare la povertà infantile, materiale, familiare, educativa.

Adriana De Benedittis