Non è sbagliato solo lo sciopero, ma anche la politica che l’accompagna

di Sandro Antoniazzi

Cgil e Uil, insoddisfatte delle risposte del governo alle loro indicazioni e rivendicazioni, hanno deciso uno sciopero generale.

Non si tratta di un atto incomprendibile, come affermano diplomaticamente le fonti governative, ma di uno sciopero sbagliato sia nel merito che nel significato politico.

Nel merito non è certamente poco lo sgravio economico previsto dal governo in materia fiscale; per tener conto delle fasce minori di reddito è stata inoltre effettuata una significativa correzione a loro favore.

Era presente in effetti un’ipotesi alternativa: usare lo sgravio non per alleggerire le diverse fasce di reddito, ma destinandolo integralmente alla riduzione degli oneri sulla busta paga, soluzione che riscuoteva anche il favore di parte padronale.

La sua versione più estrema è contenuta nelle parole di Landini: i benefici dello sgravio devono andare tutti a favore dei lavoratori.

Le forze politiche hanno deciso diversamente per tener conto anche di altre categorie di citttadini, in particolare del ceto medio: discorso che appare equo, riservando un riguardo particolare alle categorie a basso reddito.

Dunque il compromesso del governo appare sufficientemente equilibrato e comunque non tale da giustificare le ragioni di uno sciopero generale.

Ora nel documento di proclamazione dello sciopero l’elenco dei motivi di insoddisfazione si è allargato: non c’è solo il fisco, ma anche le pensioni, la scuola, la politica industriale, la delocalizzazione, la non autosufficienza (verrebbe voglia di aggiungere; la parità salariale delle donne, il Sud, la ricerca scientifica, ecc..).

Questo ventaglio allargato di problemi è necessario trattandosi di uno sciopero generale; si ha l’impressione che non siano i problemi a giustificare lo sciopero, ma al contrario che, avendo deciso di indire lo sciopero, si sia reso necessario accumulare i motivi a favore.

Si tratta di problemi generali su cui gli incontri sono in corso, alcuni col Ministro del Lavoro che sembra ben disposto, altri che richiedono approfondimenti, soprattutto quando si chiedono delle misure di riforma.

Prediamo il tema delle pensioni. I sindacati hanno incassato la scelta di quota 100 di Salvini, senza battere ciglio: ti regalano soldi in abbondanza, in modo sconsiderato, non è possibile rifiutarli.

Il problema viene adesso, dato che non si può continuare su quella strada, economicamente impossibile: il governo propone un graduale rientro, il sindacato invece una soluzione “pensione a 62 anni o con 41 anni di contributi”.

Si tratta di una proposta che dal punto di vista degli oneri ha lo stesso rilievo di quella di Salvini.

Così per il tema della non autosufficienza, tutte le proposte del sindacato hanno un esclusivo punto di caduta: la richiesta di un onere consistente a carico dello Stato.

C’è da rimanere stupiti da questa valanga di richieste economiche: sembra di trovarsi nel regno dell’abbondanza e che l’unico problema consista nel come dividersi la torta.

Deve essersi prodotto uno strano effetto: i soldi del PNRR ci sono adesso, questo è il momento per portare a casa il più possibile, domani sarà troppo tardi.

E’ un’immagine un po’ pietosa quella che danno Cgil e Uil in quest’ occasione, un’immagine di richieste quantitative non proporzionate, in un momento in cui bisognerebbe ragionare in grande con idee nuove.

Finalmente c’è un governo con cui si può dialogare.

E’ un’occasione per aprire la strada della partecipazione dei lavoratori nelle aziende e nella politica industriale (come hanno fatto i sindacati elettrici per la riconversione), è il momento di introdurre forme mutualistiche per finanziare gli oneri della non autosufficienza, è il momento di affrontare seriamente le politiche attive del lavoro di cui abbiamo un urgente bisogno, è un momento di fare riforme che non siano solo richiesta di aumenti, ma strutturali, anche se richiedono sacrifici.

Abbiamo un governo che si dimostra all’altezza dei problemi del paese, che sta affrontando i problemi del risanamento dell’economia, che ha ridato forza all’immagine del paese e al suo ruolo.

E di fronte a questo, una parte del sindacato senza una visione, senza una prospettiva, è capace solo di dichiarare uno sciopero: non uno strumento di lotta per dei motivi giusti, piuttosto un atto di disperazione, una semplice e disarmante dichiarazione di fallimento.

La Cisl ha fatto bene a dissociarsi: non un atto di moderatismo, un atto che salva la dignità del sindacato.

 

Dicembre 2021, Sandro Antoniazzi