Astensionismo e disaffezione: la politica e i ceti popolari

di Sandro Antoniazzi

Nelle recenti elezioni amministrative il tasso di assenteismo è stato particolarmente elevato; non è un fatto nuovo, perché ad ogni elezione si registra un progresso di questo indice negativo, che non si sa come affrontare.

A questo va aggiunto un altro dato preoccupante, oggetto di dibattiti e di polemiche: i partiti di sinistra e centro-sinistra registrano perdite di voti nei quartieri popolari, mentre sono maggiormente votati nelle zone centrali benestanti.

Su questo argomento è intervenuto in modo autorevole e risolutivo Thomas Piketty col suo libro “Capitale e ideologia”, dimostrando che nei paesi democratici occidentali questo fenomeno interessa egualmente tutti i partiti di centro-sinistra da diversi decenni.

Esiste un divario crescente, un vero solco, tra la politica e le classi popolari, una delle cause principali dell’assenteismo.

Trascurando altri aspetti della carenza di partecipazione, mi fermerei su questo, che sembra costituire un dato strutturale: la separazione tra i partiti di sinistra e il popolo.

A me sembra che il problema abbia una causa essenziale evidente.

I partiti di sinistra una volta erano partiti operai, partiti di lavoratori; nelle fabbriche c’erano cellule e sezioni con centinaia di iscritti, sino a quando, almeno, è esistito il partito comunista.

Partito di lavoratori significa un partito dove i lavoratori sono un’ampia parte degli iscritti e dell’organizzazione, che molti dei suoi quadri e attivisti (a volte dirigenti) sono lavoratori, che è presente nei luoghi di lavoro, che il tema del lavoro è una tema quotidiano nella vita del partito.

Il lavoro è tanta parte della vita, un partito dei lavoratori s’interessa così della vita della gente, entra nella loro vita.

Qui sta la vera causa dell’allontanamento: la politica era una cosa che riguardava la vita della gente, ora non lo è più.

Se questo è vero non si tratta tanto di ricercare strumenti partecipativi o preoccuparsi di rivolgersi maggiormente a quest’area, ma di porsi il problema – molto più di fondo – se la politica può ancora coinvolgere direttamente la vita stessa delle persone.

Mi permetto a riguardo di indicare qualche direzione, senza vincoli di esclusività, su cui varrebbe la pena di lavorare.

Un primo tema importante da affrontare sarebbe la partecipazione e la democratizzazione del lavoro: solo se il lavoro non è la pura soddisfazione di una funzione preordinata, ma consente al lavoratore di esprimersi, di decidere, di manifestare e sviluppare le proprie capacità avremo una classe lavoratrice non passiva, ma abituata a ragionare e allargare il proprio orizzonte.

In secondo luogo, l’azione dei circoli politici territoriali è diventata troppo esile e esclusivamente organizzativa: distribuire volantini e svolgere un po’ di propaganda costituiscono le attività principali ed eventuali dibattiti non vanno al di là di uno scambio di idee tra amici.

Per ridare vitalità alle strutture di base bisognerebbe forse pensare a fare dei circoli dei centri di attività più varie: volontariato, sportelli informativi, attività formative e sedi aperte a realtà altre.

In terzo luogo, sarebbe opportuno modificare gli statuti sindacali. Sono stato un attivo sostenitore, a suo tempo, delle norme di incompatibilità tra cariche politiche e cariche sindacali, in un tempo in cui il peso del partito nel sindacato era enorme.

Ma ora questo problema non esiste più ed esiste piuttosto il problema contrario, l’allontanamento dei lavoratori dalla politica.

Andrebbero pertanto riviste queste norme, mantenendo i divieti per le cariche più elevate e togliendole invece ai livelli inferiori, direttivi provinciali e di categoria e consigli comunali.

Oggi questo scambio sarebbe favorevole sia per la politica che per il sindacato.

Sono alcune proposte, altre se ne possono aggiungere: il loro valore sta in questo, che non propongono atti volontaristici di “andare al popolo”, ma suggeriscono al contrario atti concreti, cambiamenti reali, in grado di incidere su una situazione strutturale.

 

Novembre 2021, Sandro Antoniazzi