Dopo i referendum: cosa faranno i sindacati?

di Sandro Antoniazzi

All’indomani dei risultati elettorali sui referendum, Landini ha dichiarato che, a suo parere, si poteva arrivare al quorum del 50% + 1, necessario per la validità della votazione.

Sembra che sia l’unico in tutta Italia a pensarla così. E’ molto probabile che non ci creda neppure lui, ma non poteva esprimersi diversamente: altrimenti avrebbe voluto dire aver condotto consapevolmente il suo esercito alla sconfitta.

In realtà l’obiettivo reale va piuttosto ravvisato nell’idea di una forte affermazione della Cgil e della leadership personale di Landini che li avrebbe messi al centro della scena politica sociale del paese.

L’operazione non è riuscita e Landini vede ridimensionato il proprio ruolo: non si chiede certo a Landini di dare le dimissioni (parola di altra epoca, dove valevano la dignità e la coerenza, ma oggi siamo di fronte alla persona “flessibile”, sempre pronta ad adattarsi alle nuove situazioni).

In ogni caso, per la Cgil, questa è una grande occasione per aprire un ampio dibattito sulla propria linea politica, mentre Landini dovrebbe favorire il formarsi di una nuova classe dirigente.

E la Cisl? In questa occasione è stata in disparte quasi che la cosa non la riguardasse.

Però ora è giunto il momento di giocare le proprie carte e di dimostrare di avere delle proposte valide per affrontare i problemi del lavoro.

Da tempo la Cisl parla della necessità di un patto sociale; purtroppo non è andata al di là del titolo.

Adesso è necessario dare sostanza a quella proposta traducendola in idee, indicazioni, soluzioni possibili: in altre parole trasformarla in una vera piattaforma all’altezza dei problemi del lavoro attuali.

I problemi veri del lavoro (non quelli retrò e piuttosto irrilevanti dei referendum) sono chiari ed evidenti: produttività, salari, competenze dei lavoratori, politica industriale, costo dell’energia, sottodimensionamento delle aziende.

Si tratta di realizzar con gli imprenditori prima, e poi col governo, un patto che più che sociale si dovrebbe chiamare patto per lo sviluppo dell’industria (e dell’economia) italiana.

Gli industriali hanno dichiarato la loro disponibilità a incontrarsi: il momento è dunque favorevole.

Questo è quanto necessita al Paese oggi per risollevarsi da una situazione che si presenta costantemente pressoché ferma (con aumenti di occupazione in settori: turismo, ristorazione, edilizia che presentano scarsissima produttività e quindi nessun valore aggiunto).

Se i sindacati si dimostrassero capaci di questo, ritornerebbero protagonisti veri dello sviluppo economico e sociale del paese.

Per questo è necessaria la loro unità – minima, unità d’azione – perché non si può andare divisi ad una trattativa con gli industriali; vuol dire essere perdenti in partenza.

Ci vuole un po’ di umiltà da parte di tutti; ogni sindacato, senza rinunciare alle proprie idee, deve sforzarsi di contribuire a formare la piattaforma unitaria.

Sarebbe un passo avanti gigantesco e a dimostrazione che il sindacato può ritornare ad essere un protagonista della vita del paese.

La Cisl ha dichiarato che vuol dedicare il prossimo congresso confederale di luglio a questo problema; anche gli altri sindacati, in forme diverse, dovrebbero dedicare un impegno adeguato: lavoro diversificato che dovrebbe portare poi a un documento unitario con cui presentarsi alla trattativa.

Speriamo che i sindacati trovino la forza per fare questi passi. Il mondo del lavoro e il paese ne hanno un grande bisogno.

 

Sandro Antoniazzi