I referendum sul lavoro: il loro esito, anche se positivo, inciderebbe poco sulla situazione dei lavoratori

di Sandro Antoniazzi

Manca poco tempo al voto sui referendum.  Le opinioni a riguardo sono molto varie; se aggiungo la mia non è per convincere, ma solo per portare altri elementi di valutazione.

Dico subito che ne voterò due: quello sulla cittadinanza e quello sui subappalti, che richiedono indubbiamente una legislazione più adeguata.

Veniamo al primo dei tre rimanenti, quello relativo al ripristino del reintegro al posto di lavoro invece dell’indennità prevista attualmente. É  il referendum simbolico dominante: in sostanza si vorrebbe ritornare al famoso art. 18, tanto discusso e combattuto in passato. Ritornare su battaglie passate non é una buona cosa: sa molto di ideologia.

Ma quanti sono i casi di licenziamento illegittimo in Italia in un anno? Parliamo di decine, centinaia, di numeri superiori? Se la CGIL fornisse i dati si potrebbe fare un ragionamento oggettivo e non ideologico. Inoltre sono molti coloro che hanno sostenuto  che cancellare la legge attuale non porterebbe all’art. 18, ma alla legge immediatamente precedente, la Monti-Fornero, che prevede un’identità minore: si rischia di peggiorare la situazione.

Quindi non voto questo referendum perché ideologico, non è un tema centrale che riguardi molti lavoratori e rischia di reintrodurre condizioni peggiorative.

Il secondo referendum è relativo ai contratti a termine, per cui si vorrebbe ripristinare un motivo oggettivo che li giustifichi.

Questo referendum non tiene conto della realtà. L’anno scorso ci sono state quasi 500.000 assunzioni a tempo indeterminato e un calo di 200.000 contratti a termine. Perché questo? Per un motivo semplice: con la diminuzione della popolazione diminuiscono anche i lavoratori. Le aziende iniziano a far fatica a trovare i lavoratori e, se li trovano, se li tengono stretti. E siccome questo processo continuerà, i lavoratori si troveranno in una condizione di sempre maggior forza. Altro che leggi!

È l’aumento della forza dei lavoratori che può cambiare le cose. Se il sindacato non se ne accorge andiamo male, perché questa è la sua vera forza. Questo referendum è contro la realtà e non ha senso, non lo voto.

Il terzo referendum estende le norme che riguardano le aziende maggiori a tutte le aziende, anche a quelle con un dipendente. Verrebbe da dire che si tratta di un’affermazione populista.

Il problema nelle piccole aziende non é aggiungere norme, ma come farle rispettare.

Il sindacato è largamente assente in queste aziende (spesso familiari o personali): in pratica il lavoratore per chiedere i suoi diritti si rivolge al sindacato o al magistrato dopo che ha lasciato l’azienda. Non vedo una grande utilità di questa norma.

Purtroppo in Italia il 95% delle aziende ha meno di 10 dipendenti: qui avviene di tutto perché il controllo è molto difficile e certamente non è in queste aziende che può aumentare la produttività.

La vera risposta sta nell’aumentare la grandezza delle aziende.

Dunque è un referendum pressoché inutile.

Non lo voto.

I referendum sul lavoro meritano anche un giudizio più generale in quanto, nel loro insieme, costituiscono una parziale politica del lavoro. Quello che si può dire è che si tratta di una politica retrò, che guarda a problemi del passato,  che si ritenevano in larga misura superati. Quello che è certo è  che se anche fossero tutte approvate la situazione dei lavoratori cambierebbe ben poco.

E i sindacati? La CISL ha invitato a non partecipare al voto, con una evidente caduta di stile.

Avrebbe potuto esprimere la propria critica ai singoli referendum e aggiungere che si sarebbe comportata di conseguenza.

Occorre tener conto che i referendum non si rivolgono solo ai lavoratori, ma ad oltre 50 milioni di cittadini liberi e indipendenti.

La CGIL di Landini ha impegnato la propria organizzazione,  buona parte del PD e milioni di lavoratori e cittadini in una grande battaglia: se vince la leadership di Landini uscirebbe decisamente rafforzata. Ma se perde? Sarebbe a mio parere coerente tirarsi da parte e favorire il formarsi di una nuova dirigenza.

Ricordo che Carniti, che vinse il referendum sulla scala mobile (da lui non voluto), lasciò l’incarico di Segretario Generale della CISL subito dopo. Era finita una fase sindacale e toccava ad altri dar vita ad un corso nuovo.

A questo punto aspettiamo l’esito dei referendum.

Sandro Antoniazzi