Come uscire dalla guerra in Ucraina?

di Danilo Amadei

Premetto che non sono un esperto di geopolitica, né tanto meno di strategie militari. Sono un apprendista artigiano della pace cresciuto nella bottega della “Pacem in terris” di Papa Giovanni XXIII, che compie quest’anno 60 anni.

Immersi nell’angoscia quotidiana delle uccisioni, delle distruzioni, delle fughe di milioni di persone, delle minacce di incremento della guerra ci domandiamo: per quale finalità? La Russia di Putin ha già dichiarato e dimostra quotidianamente orrendamente cosa vuole, ma noi, che siamo con l’Ucraina?

Andare avanti fino alla sconfitta della Russia, costi quel che costi, anche con la possibilità della distruzione di centrali nucleari, fino al conflitto con armi nucleari?

E’ sicuro che l’escalation nella fornitura di aiuti militari non comporti l’intervento diretto, dopo l’invio delle armi e dei consiglieri militari, dei paesi della Nato, con una guerra dichiarata tra potenze nucleari?

Fino a dove siamo disposti a rischiare al limitare del conflitto nucleare?

Quante distruzioni e morti, che coinvolgeranno anche le generazioni future (pensiamo solo a quanto avvenuto nella ex Jugoslavia trent’anni fa con i proiettili ad uranio arricchito che hanno conseguenze ancora oggi) è considerato “troppo” per continuare la guerra?

Quello che è certo è che questa è una guerra globale, non solo per le armi usate e la loro provenienza, ma per gli effetti che ha su gran parte del mondo (per energia, alimenti, fertilizzanti e altri beni), comprese nuove migrazioni.

Inoltre nel mondo globalizzato le reti informatiche, le interconnessioni, le nuove armi “intelligenti” e le nuove conoscenze sono protagoniste della guerra. Anche se questa guerra la si presenta come “antiglobale”, novecentesca, ancora ferma alla rivendicazione dei confini della Nazione.

Per uscire dalla guerra è indispensabile allora che la risposta sia globale e coinvolga, oltre naturalmente a chi è in guerra, gli Stati che guidano l’attuale globalizzazione, a partire da Usa, Cina e Unione europea. E ridando il ruolo che gli spetta all’Onu, da rilegittimare e sostenere nei compiti che la Carta le assegna.

Per fare finire la guerra occorre cercare la pace non la vittoria.

È indispensabile promuovere un dialogo tra le parti, impedire che l’odio non consenta di pensare ad un futuro tra popoli che devono tornare alla possibilità della cooperazione. Come peraltro stanno mostrando le decine di migliaia di persone che rifiutando la guerra, anche obiettando, sono incarcerate o sono dovute fuggire in altri Paesi, sia in Ucraina, sia in Russia, invitando alla pace e a nuove relazioni tra i due popoli (forse sta anche nascendo un nuovo Manifesto di Ventotene allargato a tutto l’est Europa tra questi detenuti e esiliati?).

Occorre cercare il dialogo e l’accordo.

Intanto smettendo di combattere e ascoltarsi con l’aiuto della mediazione degli Stati di cui si ha fiducia, con l’Onu.

Tornando a garantire che l’Ucraina potrà entrare nell’Unione europea, ma mai nella Nato.

Garantendo l’autonomia delle regioni contestate, anche tornando agli aspetti positivi del Trattato di Minsk ignorato per troppi anni, con la presenza di forze di pace internazionali, con il tempo, anche lungo, eventualmente prevedendo nuovi referendum sotto la supervisione dell’Onu.

Garantire i diritti delle popolazioni residenti di nazionalità diverse con concordati e verificati accordi da parte di organismi internazionali, anche sull’utilizzo delle risorse minerarie, e non solo, presenti.

Dare maggiori garanzie dei diritti agli ucraini residenti in Crimea, che potrebbe rimanere alla Russia per un tempo da determinare, prevedendo accordi di collaborazione con l’Ucraina per le risorse presenti e le rotte commerciali.

A fronte dell’attuazione degli accordi, progressiva riduzione delle sanzioni alla Russia e fondo internazionale per la ricostruzione delle regioni distrutte dalla guerra, con garanzie di controlli internazionali per evitare che, come già troppo spesso avvenuto nelle storia, i soldi siano utilizzati da varie mafie e per traffici corrotti.

Nell’angoscia di questi tempi non si possono dimenticare due aspetti che ci riguardano da vicino.

Questa guerra è combattuta anche con motivazioni “ideologiche” che si richiamano al cristianesimo. La voce di Papa Francesco, nel solco di chi l’ha preceduto, anche tra i tanti testimoni della nonviolenza evangelica, deve fare parte di questo cammino di pace e deve impegnarci incessantemente per rievangelizzare le chiese cristiane (cattolica compresa).

Questa guerra in Europa deve aiutarci ad aprire gli occhi anche sulle tante guerre che ci sono sulla nostra unica terra. Sto scrivendo durante il viaggio di Papa Francesco in Congo, dove una guerra trentennale ha già procurato oltre dieci milioni morti, milioni di rifugiati e violenze e una miseria costante. In terre dimenticate ma le cui ricchissime risorse fanno funzionare i nostri cellulari e i nostri computer.

Anche la straordinaria accoglienza ai profughi ucraini è stata giustamente e generosamente sostenuta dal nostro Paese e da quelli europei riducendo però le garanzie per altri profughi provenienti da altre zone poverissime, compreso l’Afganistan (uscito dalle nostre cronache dopo le poche settimane di commozione dell’estate scorsa).

È vitale tornare a preparare e costruire nuove istituzioni di pace, ad ogni livello, politico, economico, sociale e spirituale.

E fermare la corsa al riarmo per trasferire una percentuale dei suoi costi a investimenti per la prevenzione dei conflitti e per ridare forza ad una nuova diplomazia incardinata nell’Onu (ora, ogni anno, siamo ad un rapporto di 96 per le armi e 4 per la diplomazia e le istituzioni per la prevenzione dei conflitti e gli interventi di pace).

È urgente una politica che ritorni alla nostra Costituzione e ai Diritti umani con Istituzioni e regole condivise e risorse adeguate per dare un futuro di pace e giustizia all’umanità, degno per tutti i popoli dell’unica nostra Terra.

 

5 febbraio 2023, Danilo Amadei