di Ermanno Ronda – Segretario gen. del Sicet di Milano
Riprendendo il testo della Costituzione italiana è necessario chiedersi se gli artt.42 e 120 siano ancora ai giorni nostri d’attualità rispetto a quanto legiferato nei periodi successivi da Stato e Regioni sul versante dell’accesso al diritto della casa in affitto.
Che lo Stato, come si legge, debba intervenire nell’assicurare la funzione sociale della proprietà della casa e renderla accessibile a tutti i cittadini e in secondo luogo tutelare i livelli delle prestazioni concernenti i diritti civili e sociali a prescindere dai confini territoriali dei governi locali, quando questi siano negati dalle Regioni e dai Comuni è ancora vero oggi e riconoscibile nella legislazione e nelle politiche del nostro Paese?
Per questo è necessario analizzare e dimostrare come le scelte politiche e legislative dagli anni ’90 a livello nazionale sulla politica abitativa, e, soprattutto quelle rivolte al segmento dell’affitto, abbiano progressivamente interpretato e deformato il concetto universale di accessibilità al diritto alla casa così come un eccessivo decentramento (Riforma del Titolo V della Costituzione) delle competenze legislative verso le Regioni abbia progressivamente negato il diritto alla casa soprattutto ai cittadini in condizioni socio/economiche più deboli.
In effetti le politiche per la Casa che gradualmente ma costantemente si sono affermate a livello nazionale dall’inizio degli anni ’90 ad oggi, hanno sostenuto in ogni forma la casa in proprietà (circa 75/80% sul totale delle abitazioni residenziali), il settore delle costruzioni, il sistema immobiliare, il sistema finanziario e in generale la rendita edilizia e urbana.
La concessione dei mutui ipotecari a interessi sempre più bassi e le agevolazioni fiscali sulla prima casa (azzeramento ICI/IMU per la prima casa e cedolare secca al 21% per il canale libero), hanno consentito al mercato immobiliare di espandersi fino alla crisi del 2007/2008 che ha determinato la fine della bolla speculativa e l’inizio della grande crisi economica affievolitasi solo a partire dal 2017.
Al contrario l’Italia è fra i paesi europei dove la percentuale del patrimonio di Edilizia Residenziale Pubblica è fra i più bassi (4% sul totale patrimonio ad uso residenziale). Ciò significa che la stragrande maggioranza della popolazione è proprietaria della propria abitazione o detiene una seconda o più abitazioni ma è anche indebitata nei confronti delle banche e molti nuclei famigliari nell’ultimo decennio non sono riusciti o riescono con molte difficoltà a sostenere il peso dei mutui ipotecari che nella percentuale maggioritaria dei casi incide ben oltre il 30% del reddito famigliare.
Le cause di questo stato di cose sono da ricondurre principalmente ai seguenti fattori:
- la soppressione dell’unico finanziamento previsto a livello nazionale per l’Edilizia Residenziale Pubblica derivante dalle trattenute ex Gescal e la fine del Piano decennale per la Casa (L.n.60/63 – L.n.457/78);
- la cancellazione della Legge di Equo Canone n.392/78 attraverso la liberalizzazione degli affitti nell’edilizia privata con l’introduzione della L.n. 431/98;
- la trasformazione del concetto di Alloggio Sociale da Servizio di Interesse Generale a Servizio di Interesse Economico Generale;
- la riforma del titolo V della Costituzione alla fine degli anni ’90 attraverso il trasferimento delle competenze in materia di Casa e Territorio alle Regioni, che ha nei fatti cancellato quasi totalmente ogni tipo di funzione e intervento dello Stato a livello nazionale.
Tali politiche che possiamo classificare neo liberiste, hanno determinato il venir meno di finanziamenti certi e duraturi per l’Edilizia Residenziale Pubblica e hanno costantemente favorito politiche di costante privatizzazione e riduzione degli strumenti di welfare.
Attraverso la trasformazione degli Istituti Case Popolari in Aziende di tipo economico in molte regioni con l’introduzione degli strumenti di autofinanziamento, si è generato un consistente aumento degli affitti pubblici e un conseguente aumento della morosità.
La liberalizzazione degli affitti nel settore privato ha determinato negli anni successivi una nuova emergenza abitativa derivante dagli sfratti per morosità degli inquilini (oltre il 90% delle esecuzioni sono ormai da anni per morosità).
Gli strumenti definiti dalla legge n.431/98 fondati esclusivamente sul sostegno economico alle famiglie per pagare gli affitti richiesti dai proprietari privati si sono rivelati non solo del tutto inadeguati ma anche un immotivato regalo alla rendita.
Le più recenti misure governative rivolte alla morosità incolpevole delle famiglie – adottate allo scopo di attenuare l’emergenza abitativa derivante dalla marea di sfratti di chi non riesce a pagare gli affitti troppo elevati nel mercato delle locazioni private – sono risultati strumenti palliativi.
Il Piano Casa del 2007 (Governo Prodi – L.n.9 – 8 febbraio 2007) e il Piano Casa del 2008 (Governo Berlusconi – L.n.133 – 6 agosto 2008) hanno aperto a una nuova stagione delle politiche. L’Edilizia Residenziale Pubblica è passata nel 2008 da Servizio di Interesse Generale a Servizio di Interesse Economico Generale: trasformandola in Edilizia Residenziale Sociale, in cui anche i privati possono concorrere alla formazione di un’offerta abitativa di sottomercato.
Le nuove politiche hanno prodotto lo snaturamento della funzione sociale dell’Edilizia Residenziale Pubblica, contribuendo attraverso i piani vendita e/o di valorizzazione a erodere la disponibilità di alloggi a canone sociale, aggravando ulteriormente l’emergenza abitativa.
Mentre il settore pubblico veniva privato di risorse sufficienti e costanti abbandonandolo ad un irreversibile declino, prendeva consistenza il Sistema Integrato dei Fondi, previsto dal Piano Casa del 2008: fondi immobiliari a carattere pubblico e privato, che godono oggi di un circuito di finanziamento dedicato. Questa fonte di finanziamento è all’origine del Piano nazionale denominato Housing Sociale. L’Housing Sociale, che rappresenta la nuova concezione dell’intervento pubblico per la casa, è stato propagandato come la soluzione dell’emergenza abitativa. In realtà l’Housing Sociale è uno strumento strutturalmente incapace di rispondere alla domanda sociale nel suo insieme, alla domanda povera in particolare. Neppure si è dimostrato capace di risolvere la crisi strutturale del settore edilizio delle costruzioni, né tantomeno quella del mercato immobiliare, bloccato dal 2008 ad oggi in conseguenza della crisi economica generale.
Il nuovo quadro istituzionale e ideologico ha contraddistinto anche le politiche approvate dalla Regione Lombardia che attraverso i Piani triennali per l’Edilizia Residenziale Pubblica vanno da decenni verso la drastica riduzione dei finanziamenti, l’aumento degli affitti per sostenere l’autofinanziamento del sistema, l’ampliamento dei Piani di vendita e dei Programmi di valorizzazione del patrimonio pubblico, riducendo ulteriormente l’offerta, trasformando radicalmente la funzione sociale dell’Edilizia Residenziale Pubblica, escludendo a priori chi è troppo povero. La nuova Normativa Regionale, n.16 approvata nel 2016, rappresenta un cambiamento radicale di concezione, di scopi, di metodi, con l’obiettivo dichiarato di trasformare il sistema dell’edilizia pubblica in un sistema più redditizio, gestito anche da privati e fondi immobiliari e limitando al 20% le assegnazioni in favore delle famiglie più povere (con ISEE inferiore a 3000 euro).
Questa nuova normativa stravolge i criteri di attribuzione del punteggio, favorisce chi è residente nel comune e in Lombardia da più anni e penalizza invece chi ha subito uno sfratto. Solo di recente a seguito di numerosi contenziosi legali si è espressa anche la Corte Costituzionale e il Tribunale di Milano eliminando gli elementi della legge dichiaratamente discriminatori nei confronti degli stranieri (esclusione per chi non è residente in Regione da almeno 5 anni e per chi non certifica il mancato possesso di proprietà all’estero).
Nella città di Milano almeno fino a prima dell’attuale crisi rappresentata dal Covid/19 si assisteva ad una narrazione (v. edizione 2019 dell’“Osservatorio Milano” da Comune e Assolombarda) di una città in crescita, sostenibile e inclusiva.
- Attrattiva: con 7,6 milioni di turisti l’anno, 4.600 grandi imprese estere delle 14.000 con sedi in Italia.
- In crescita dal punto di vista economico: il Prodotto Interno Lordo di Milano è cresciuto negli ultimi 5 anni del +9,7% il doppio rispetto all’Italia. Il P.I.L. procapite annuo di Milano è superiore a € 49.000 contro la media italiana di € 26.000 e rispetto al livello pre – crisi Milano si attestava a + 6,4% contro il -3,3% della media nazionale;
- In fase di trasformazione dal punto di vista ecologico: sull’ambiente si leggeva che Milano sta mettendo in gioco se stessa, esponendosi ad una sfida epocale che coinvolge non solo i grandi interventi urbanistici (dagli ex Scali ferroviari con il 65% riservato al verde alla costituzione di uno dei più vasti sistemi di parchi urbani in Europa) ma anche l’edilizia sostenibile, la mobilità, il Piano aria, la gestione idro – geologica, lo smaltimento dei rifiuti, l’energia.
Di segno opposto è invece l’esperienza che il Sicet di Milano mette in atto attraverso la voce degli inquilini che ci chiedono assistenza abitando nelle case popolari, delle famiglie che ogni giorno vengono sfrattate, di chi è senza fissa dimora o vive in situazioni precarie o sulla strada ma anche di altri soggetti e associazioni che attraverso i diversi rapporti usciti nel corso dell’anno scorso e anche quest’anno (il rapporto 2021 Nomisma: “Milano Inclusiva” – il rapporto 2020 Urbanpromo – il rapporto 2020 sulla Povertà in Italia di Caritas – il Dossier Statistico Immigrazione 2020 – IDOS – diverse pubblicazioni sulle mappe della disuguaglianza nelle principali città metropolitane italiane – il documento 2019/20 sui quartieri popolari e le periferie a Milano solo per citarne alcuni), ci restituiscono un’immagine delle maggiori città metropolitane (Roma – Milano – Torino – Napoli ) che sono uscite dalla precedente crisi con una larga classe di esclusi, presenti non solo nelle periferie e nei quartieri popolari e con una formidabile polarizzazione fra le classi più povere e quelle più ricche. A fronte del fatto che il 9% della popolazione milanese detiene il 30% della ricchezza totale del capoluogo lombardo, 21.000 famiglie non ce la fanno a vivere e altrettanti bambini patiscono la fame (fonte: Rapporti Fondazione Cariplo 2019). Infatti l’incidenza della popolazione a rischio di povertà ha mostrato un aumento del 2,5% dal 2017 al 2019 – dal 11,1% al 13,6% sul totale della popolazione residente (circa 190.000 persone) e sarà ancora più rilevante a causa della situazione che si è manifestata nel 2020 a seguito della crisi sanitaria.
Sul versante della casa in affitto che rappresenta a Milano poco più del 25% – con circa 178.000 abitazioni sul totale dello stock abitativo milanese – si rileva, pur in assenza di banche dati pubbliche aggiornate, che solo il 12% con 17.858 alloggi è concentrato nelle grandi proprietà e che il restante stock abitativo al netto del patrimonio di Aler e Comune di Milano stimato in 60.000 u.i. in città, è rappresentato da circa 100.000 abitazioni di piccole e medie proprietà. Circa il 2,5% del patrimonio privato totale è regolato attraverso l’ultimo accordo locale per il canale concordato previsto dalla L.n.431/98, il restante 97,5% è a canale libero. Sul patrimonio privato sfitto che si stima rappresenti il 13% sul totale delle abitazioni private, non ci sono indagini specifiche. Riteniamo che esso sia stato almeno fino all’inizio della pandemia fortemente interessato dalle dinamiche del mercato immobiliare e finanziario, rappresentato dalle locazioni transitorie airbnb, Fondi Immobiliari, strumenti finanziari a garanzia per alcuni Istituti di credito e fondiario. A ben vedere, molte di queste banche sono anche le artefici dell’emergenza abitativa attuale, nel senso che hanno sostenuto la bolla speculativa del mercato immobiliare, concedendo con una certa disinvoltura ( dal 1998 al 2008 ) mutui a privati cittadini italiani e stranieri con limitate garanzie e capacità di risparmio, per poi pignorare successivamente agli stessi la casa in proprietà, nel momento in cui si è manifestata l’insolvenza a causa della profonda crisi occupazionale in diversi settori dell’economia ( 2008/2018 – crisi del settore edile, dei servizi legati alla pubblica amministrazione e manifatturiero ).
A Milano nel 2019 sono stati eseguiti, secondo i dati forniti dal Ministero dell’Interno, 2.416 sfratti e 16.513 sono state le richieste agli Ufficiali Giudiziari di eseguire una sentenza di sfratto; il 90% di questi per morosità delle famiglie che avevano un contratto di affitto privato a canale libero o un mutuo bancario. A Milano non esiste più un sistema di governo del fenomeno degli sfratti. L’accordo siglato in Prefettura il 27 aprile 2016 fra tutte le Istituzioni per la programmazione della concessione della forza pubblica non è stato mai attuato, non esiste un meccanismo di assegnazione o di presa in carico del nucleo famigliare prima che lo sfratto venga eseguito. Una volta per strada, solo la madre e i figli minori possono trovare accoglienza in qualche comunità fuori Milano o l’albergo per un breve periodo e/o all’interno degli alloggi destinati ai Servi Abitativi Transitori (SAT). La gestione del fenomeno degli sfratti è affidato a soluzioni d’emergenza temporanee che se non connesse al sistema delle assegnazioni di alloggi pubblici a canone sociale (S.A.P.), spostano solo per un tempo limitato il problema condannandolo al “fai da te”.
All’ultimo bando di concorso 2021, per l’assegnazione di un alloggio di Edilizia Residenziale Pubblica con il sistema della piattaforma regionale (S.A.P. – Servizi Abitativi Pubblici) hanno partecipato oltre 14.000 famiglie a fronte di un’offerta che è stata attorno a 500 alloggi di proprietà Aler e Comune e pari al 3,5% sul totale delle domande.
Le indagini sul campo che abbiamo condotto nel 2019 – 2020 -2021 in piena pandemia Covid/19, con l’aiuto di alcuni ricercatori dell’Università di Architettura di Ferrara, ci hanno restituito e confermato il segno della gravità del problema casa a Milano, dove la popolazione che abita in affitto per oltre l’88% non riesce più a pagare l’affitto o riesce con moltissime difficoltà in considerazione anche del fatto che nel segmento delle locazioni private si colloca la fetta di popolazione milanese sul livello più basso e spesso in condizioni abitative peggiori.
Costruire una città che non allontani le classi popolari ma promuova un welfare abitativo universale per il diritto alla casa.
Il problema evidente è che c’è bisogno di politiche che redistribuiscano la ricchezza dove essa si è prodotta e continua a prodursi.
Urge a tutti i livelli della politica e delle Istituzioni il ritorno a un Sistema di Welfare Abitativo Universale che, nell’affrontare in modo generale e strutturale il problema della casa in affitto, metta in atto misure efficaci dove più acuta è la necessità di case popolari a canone sociale sul territorio nazionale.
Per questo obiettivo chiediamo al Governo:
- l’utilizzo immediato del miliardo di euro ancora giacente presso la Cassa Depositi e Prestiti dei Fondi ex Gescal non utilizzati per il recupero di tutte le case popolari sfitte;
- che venga dirottata una significativa quota di risorse finanziarie del P.N.R.R. Italia verso un Piano straordinario per l’ERP;
- che venga avviato l’iter legislativo per una generale modifica della normativa che riguarda le politiche abitative prevedendo il superamento del canale libero nella L.n.431/98 e finanziamenti specifici per il Fondo Sostegno Affitto;
- che venga predisposto un Piano nazionale per il rilancio dell’Edilizia Residenziale Pubblica con una percentuale vincolata all’interno del bilancio dello Stato e delle Regioni.
È prioritario che venga affrontata l’emergenza abitativa nelle maggiori aree metropolitane del nostro Paese soprattutto dove sono stati più aggressivi i processi di espulsione delle classi popolari a causa di irresponsabili interventi di gentrificazione.
Milano da sola non può pensare di risolvere l’attuale questione abitativa senza che lo Stato e la Regione predispongano nel breve/medio periodo provvedimenti legislativi coerenti e fortemente integrati all’interno dei quali venga affrontato da una parte il regime fiscale sulla proprietà edilizia privata e pubblica eliminando, per esempio, la cedolare secca nel canale libero e reintroducendo il principio di progressività previsto dalla Costituzione e dall’altra abolendo i balzelli che ancora gravano sui gestori di patrimonio pubblico (crf. documento Federcasa/Sindacati Inquilini nazionali del 2020). E’ inoltre urgente intervenire con maggiore incisività sull’evasione/elusione fiscale che ancora esiste nel mercato delle locazioni private incrociando le banche dati a disposizione della pubblica amministrazione; modificare la legge n.431/98 attraverso l’attribuzione al canale concordato di un ruolo preminente affinché questo strumento possa garantire affitti sostenibili; rilanciare l’Edilizia Residenziale Pubblica attraverso finanziamenti certi e duraturi nel tempo per la nuova costruzione e il recupero del patrimonio edilizio esistente poiché da molto tempo, e ancora più oggi, la domanda di affitto è prevalentemente caratterizzata dai nuclei famigliari dai redditi bassi e bassissimi.
Comune e Aler dovrebbero ritornare a lavorare insieme per rilanciare il settore dell’Edilizia Residenziale Pubblica dal punto di vista dell’offerta di abitazioni e orientare meglio, in rapporto alla reale domanda di alloggi, i loro attuali programmi di recupero del patrimonio pubblico sfitto esistente (ad esempio per i nuclei famigliari con invalidi e per le famiglie numerose).
A Milano è necessario costituire un Osservatorio comunale permanente sulla casa dove far convergere i dati disponibili, raccoglierli e organizzarli per costruire strumenti di analisi e governo del problema Casa.
È necessario che a livello locale il Comune riprenda un ruolo di regia su tutta la filiera della politica abitativa a partire dalla conoscenza del fabbisogno abitativo e del coordinamento di tutti gli strumenti di intervento sull’offerta sia essa di nuova costruzione che di riqualificazione del patrimonio edilizio pubblico esistente e che Milano non sia solo orientata ad attrarre i grandi capitali finanziari e gli operatori internazionali ma torni a essere inclusiva verso le classi popolari per garantire una città che sia luogo di democrazia e di pluralità.
Per questo la nuova Variante al PGT approvata dal Consiglio Comunale il 14 ottobre 2019 deve, a nostro giudizio, essere profondamente modificata nella sua visione, strategia e attuazione. Tale strumento urbanistico oggi non pone limiti alla speculazione immobiliare degli operatori privati e privilegia per l’abitare sociale la sola domanda solvibile escludendo dalle sue previsioni l’incremento del patrimonio di Edilizia Residenziale Pubblica a canone sociale.
Al contrario supporta operazioni di sostituzione del patrimonio residenziale pubblico con interventi di mix sociale e funzionale anche gestite da operatori privati che andranno a stravolgere l’esistente alienando e riducendo ulteriormente la già esigua offerta di ERP.
La nostra proposta è quella di incrementare il patrimonio edilizio pubblico, perché è verso tale comparto che la maggior parte della domanda abitativa milanese si rivolge, mediante nuove realizzazioni, considerando anche i minori costi e l’attuale maggiore qualità dell’edilizia off – site e la disponibilità di aree comunali non utilizzate, quantificate dal PGT vigente in circa 1.750.000 mq. Sul fronte di un’offerta abitativa aggiuntiva a canoni sostenibili, sarebbe utile a nostro giudizio che il Comune affrontasse la costituzione di un Sistema Integrato di Offerta all’interno del quale coinvolgere i grandi operatori immobiliari. Pensiamo alle cooperative edificatrici, al sistema cooperativo a proprietà indivisa, alle fondazioni private e bancarie, al patrimonio degli enti assistenziali, delle assicurazioni e del residuo patrimonio degli enti previdenziali che un tempo veniva destinato in parte agli sfrattati, alle grandi proprietà immobiliari con le quali in qualche contesto abbiamo definito accordi integrativi migliorativi dello stesso accordo locale per i canoni concordati, al grande patrimonio di alloggi che le banche gelosamente detengono a seguito delle migliaia di pignoramenti immobiliari, che viene utilizzato per la sua finanziarizzazione e che invece potrebbe essere utilizzato per scopi ben più nobili perché socialmente orientati.
Questo rappresenterebbe un corretto utilizzo degli strumenti impropriamente denominati di “Housing Sociale” verso un’ ”Edilizia di Sotto Mercato” come strumento allargato di offerta aggiuntiva e non sostitutiva del patrimonio dell’ERP.
Sarebbe necessario, che all’interno di tale sistema di welfare, il Comune istituisca un Ufficio Assegnazioni Unico in grado di gestire tutte le disponibilità alloggiative e le procedure di assegnazione contestualmente all’avvio del procedimento di sfratto, le accoglienze temporanee, al fine di garantire il passaggio da casa a casa dei nuclei famigliari che si trovano sottoposti a sfratto o privi di una abitazione. Per questo, è indispensabile rendere immediatamente attuativo il protocollo prefettizio per la graduazione della concessione della Forza Pubblica e modificare radicalmente la legge regionale n.16/2016 al fine di eliminare i dispositivi discriminatori nei confronti dei più poveri, degli sfrattati e degli stranieri.
Infine è necessario porre un freno alla diffusione degli affitti brevi tramite le diverse piattaforme. Già in alcune città europee e in Nord America si stanno sperimentato limitazioni nel numero di notti all’anno o nel numero di stanze che è possibile affittare in un singolo alloggio. Recentemente la Corte di Giustizia dell’Unione Europea, giudicando legale una norma del governo francese che stabilisce che gli affitti a breve termine siano soggetti ad apposita autorizzazione, dichiara che: “la lotta contro la scarsità di alloggi destinati alla locazione di lunga durata costituisce un motivo imperativo di interesse generale che giustifica una siffatta normativa”.
Milano 14 – 07 – 2021