Dispensa di cultura e formazione politica n.1

per vedere tutte le Dispense di cultura e formazione politica clicca qui

  1. Origini e sviluppo della democrazia.

È risaputo che la democrazia è nata nell’antica Grecia, un territorio costituito da centinaia di piccoli stati, ognuno dotato di un proprio regime autonomo; Atene, una delle città più rilevanti per ampiezza e per potere, ha avuto per oltre un secolo e mezzo un governo democratico.

È bene avere presente i caratteri di questa democrazia: la partecipazione politica, che costituiva l’espressione distintiva del cittadino greco, era riservata a circa trentamila persone su una popolazione di circa centocinquanta mila (erano esclusi donne, fanciulli e gli schiavi ai quali era riservato il lavoro).

Né Aristotele, né Platone avevano in grande stima la democrazia: il primo riteneva che la democrazia avrebbe dato il potere alla parte più popolare, meno preparata e che avrebbe agito solo nel proprio interesse; il secondo definiva la democrazia come il governo del numero, della moltitudine e la considerava la forma più cattiva delle forme di buon governo e la più buona di quelle cattive. In ogni caso, con tutti i limiti e le difficoltà, l’esperienza ateniese ha rappresentato, se non il modello, certamente l’ispirazione, l’idea a cui si sono richiamate tutte le esperienze successive.

La democrazia ha poi conosciuto un lungo periodo di oblio (si può solo citare l’esperienza medievale dei comuni); però sul piano teorico si sono a poco a poco formulate le premesse che ne hanno poi consentita l’affermazione (ci riferiamo ai principi di libertà civile e politica e all’illuminismo che ha contribuito alla critica dell’antico regime).

Ma è certamente con la rivoluzione americana e con quella francese – più vicina a noi e quindi più direttamente influente – che si afferma in modo irreversibile il principio democratico (senza dimenticare l’Inghilterra che ha realizzato nel tempo progressivamente un sistema analogo). Da allora in Europa e anche in Italia sorgono movimenti, per lo più liberali, che realizzano le conquiste civili e politiche, sino al diritto di voto.

Per rimanere al caso italiano e comprendere come la democrazia sia cresciuta passo dopo passo, non senza difficoltà e avversari, si può citare il numero degli aventi diritti al voto: poco più di 400.000 nel 1861, rimasti sotto i 3 milioni per tutto l’Ottocento, per salire a 8,5 milioni nel 1918 e 11 milioni nel 1921. Le donne avranno il diritto di voto solo nel 1945.

  1. Che cos’è la democrazia?

Non esiste un’idea unica e universale di democrazia, o perlomeno ci sono tante forme diverse di democrazia, dovute alla storia, alla cultura, alle tradizioni di ogni singolo paese. Spesso si parla di democrazia formale e democrazia sostanziale. Con democrazia formale ci si riferisce alle procedure basilari, che Norberto Bobbio chiama “universali procedurali”, senza le quali non si può parlare di democrazia.

È bene ricordare sinteticamente questi principi: 1) diritto di voto a tutti i cittadini adulti; 2) il voto di tutti ha peso uguale; 3) libertà di voto; 4) possibilità di scelte alternative; 5) vige la regola della maggioranza; 6) rispetto dei diritti della minoranza. Nessuna democrazia si ferma oggi allo stadio procedurale e sono pertanto tutte delle democrazie sostanziali nel senso che registrano un allargamento della sfera politica e dei diritti.

È soprattutto lo sviluppo dello Stato sociale che ha mutato profondamente le nostre democrazie, con un ampio riconoscimento dei diritti sociali che oggi rappresentano una parte costitutiva e indissociabile del sistema: sarebbe difficile oggi pensare la democrazia senza questi diritti.

  1. Democrazia diretta e rappresentativa.

Nella democrazia diretta gli elettori, riuniti in assemblea, assumono autonomamente le decisioni di governo; nella democrazia rappresentativa invece i cittadini eleggono dei rappresentanti i quali sono delegati a prendere le decisioni politiche sia a livello di parlamento che di governo. Rousseau, celebre sostenitore della democrazia diretta, la proponeva per una repubblica piccola, in cui fosse facile riunirsi e ogni cittadino potesse conoscere tutti gli altri, dove vigesse una semplicità di costumi che impedisse il moltiplicarsi degli affari, una grande uguaglianza di condizioni e di fortune, poco o niente lusso (in pratica una nuova Atene!).

Date le dimensioni attuali, tutti gli Stati adottano oggi la democrazia rappresentativa; decisione che, se da un lato appare inevitabile, dall’altro pone una serie di problemi, primo fra tutti il rapporto tra rappresentanti e rappresentati. Il rappresentante deve rispondere ai rappresentati (e analogamente al partito di appartenenza)) oppure il mandato è fiduciario e spetta al rappresentante decidere di volta in volta che cosa è meglio fare?

La nostra Costituzione è esplicita in proposito: una volta eletto il rappresentante non rappresentata il partito e i suoi elettori ma, secondo l’art. 67, “ogni membro del Parlamento rappresenta la nazione ed esercita le sue funzioni senza vincoli di mandato”. Il partito può espellere dalle sue fila un parlamentare “infedele”, ma non può espellerlo dal Parlamento (ciò significa che il diffuso e certamente deprecabile fenomeno dei “transfughi” non può essere risolto con soluzioni normative, ma solo a livello della fiducia e di vincoli ideali). Anche l’idea di una eventuale “revoca” di un parlamentare che non soddisfa le attese degli elettori – soluzione sostenuta da Marx sull’esempio della Comune di Parigi – sembra del tutto impraticabile nelle attuali democrazie rappresentative.

Il problema di cui maggiormente si discute è però un altro: dato che le elezioni hanno un carattere universale, non esistono garanzie che siano scelti i rappresentanti più validi e più preparati. Le prime esperienze di democrazia limitavano fortemente il numero dei partecipanti al voto, mirando con questo a selezionare i candidati “migliori” (agli inizi della democrazia americana si distinguevano i “repubblicani” dai “democratici” in base a criteri più rigidi o più aperti di partecipazione al voto, proprio per questo motivo).

Questo problema è stato molto discusso nella teoria politica e molti studiosi importanti, fra cui Gaetano Mosca, hanno sostenuto la tesi che nella realtà si forma una “classe politica”, sulla quale il ruolo degli elettori è relativo. Per Joseph Schumpeter la politica consiste in una concorrenza tra élites che si contendono il potere di governare. Anche senza ricorrere ai filosofi politici, è facile convenire che tendenze e pericoli di un eccesso di potere centralizzato sono sempre presenti (soprattutto con l’avvento del leaderismo e delle ipotesi presidenzialistiche).

  1. Democrazia radicale.

Di fronte ai problemi incontrati dalla democrazia sono stati proposti degli interventi, se non risolutivi almeno di miglioramento dei suoi meccanismi, particolarmente rivolti a valorizzare forme parziali di democrazia diretta e più in generale a sviluppare strumenti partecipativi. Ne elenchiamo alcuni più noti.

Bilanci partecipativi. Si svolgono a livello locale, ad esempio assegnando a un quartiere una quota del bilancio e la popolazione decide quale progetto finanziare.

Dibattito pubblico. È stato sviluppato in Francia per consentire la partecipazione dei cittadini di un territorio interessato a grandi opere infrastrutturali (autostrade, treni ad alta velocità, aeroporti). È stata istituita una Commissione indipendente che raccoglie tutte le proposte e le critiche a riguardo, organizza dei dibattiti pubblici e alla fine redige un rapporto conclusivo, che ha un notevole peso sulla decisione finale.

Sorteggio. Non essendo possibile far partecipare tutti allo stesso modo, per ascoltare la voce popolare si scelgono per sorteggio un certo numero di persone della popolazione interessata e questo gruppo esprime un parere, non vincolante, ma certo significativo sul problema.

Naturalmente ci sono propose ben più radicali, che vanno al di là dei meccanismi di partecipazione alle scelte pubbliche. Un tema fondamentale a riguardo è l’estensione della democrazia a settori della società che attualmente non lo prevedono: lo stesso Norberto Bobbio cita i due grandi casi delle imprese e della burocrazia. La democrazia vive se tutta la società è democratica, dunque tanto più si diffonde il metodo democratico tanto più si rafforza lo Stato democratico.

  1. Il ruolo dei partiti.

I partiti costituiscono un canale fondamentale tra i cittadini e lo Stato; come dice l’art. 49 della Costituzione, essi “sono libere associazioni di cittadini che concorrono a determinare la politica nazionale”. Nell’immediato dopoguerra e per tutti gli anni ’50 e ’60 sono esistiti in Italia dei grandi partiti che svolgevano il ruolo di educatori delle masse, di interpreti fedeli della società civile e che hanno difeso e promosso la democrazia.

Ma con lo svanire delle classi sociali si è dispersa anche la coesione sociale e tanta parte della vita associativa e collettiva (se i partiti di un tempo corrispondevano al sistema fordista, quelli attuali cercano di adattarsi al post-fordismo). Di fonte a una realtà sociale sempre più articolata e differenziata, i partiti tendono a rivolgersi a tutti (catch-all-party), utilizzando per questo soprattutto i mass-media, ma rinunciando così ad agire in profondità e spostando il proprio interesse dalla società allo Stato.

Dunque, l’attività dei partiti è molto ridotta rispetto al passato, quando si manteneva un rapporto con la gente (col popolo) attraverso un’organizzazione, che per questo motivo era robusta e costituita da molti militanti. Ora ci si rivolge soprattutto all’opinione pubblica in modo indifferenziato, perché l’importante è raccogliere voti. Si pone qui il grande problema del “lavoro”: se ieri i partiti di sinistra erano partiti del lavoro e dunque i lavoratori si sentivano considerati e partecipi della politica, oggi, nella separazione che si è determinata, il lavoro non è più di fatto un problema politico.

In queste condizioni, la capacità di rappresentare interessi e gruppi, di essere un ponte tra la società e lo Stato, di educare le masse alla politica e di indicare loro mete ideali, è venuta molto meno. Così, non pochi sono i problemi per i partiti attuali di rappresentare la società e finora modesti sono stati tentativi di un ripensamento e di un rinnovamento per superare questa situazione. Fra i rischi della presente situazione dove la politica è troppo separata dalla società, vi è quella di una pericolosa distanza tra una classe politica che agisce in alto a livello nazionale per proprio conto e una base a cui è riservato lo spazio della partecipazione. Si rischia di passare dalla rappresentanza alla rappresentazione.

Un piccolo passo in avanti si potrebbe – e soprattutto si dovrebbe fare – attuando l’art. 49 della Costituzione che prevede la democratizzazione dei partiti che concorrono a formare la politica nazionale: finora non si è riusciti a far approvare una legge, perché c’è sempre qualche partito che manca dei requisiti richiesti. Ma questa carenza rappresenta senz’altro un limite per la democrazia.

  1. Problemi e crisi della democrazia.

Da molte parti si denuncia una crisi della democrazia e si elaborano neologismi per definire la nuova situazione: post-democrazia, autocrazia elettiva, legittimazione elettorale passiva… Norberto Bobbio, in uno scritto lontano nel tempo ma tuttora di riferimento (“Il futuro della democrazia”), parlava di “promesse non mantenute”.

L’idea originaria della democrazia era quella di un popolo sovrano senza corpi intermedi (è famosa la legge Le Chapelier del 1791 in piena Rivoluzione Francese con cui si aboliva ogni genere di associazione) ma nel frattempo la società è diventata sempre più pluralista, con gruppi e organizzazioni contrapposti; il rappresentante dovrebbe rappresentare l’intera società (art. 49!) ma spesso esprime piuttosto interessi particolari; sono presenti oligarchie ed élites; esistono poteri invisibili (mafie, servizi segreti, poteri economici, gruppi di potere) mentre la democrazia dovrebbe basarsi sulla trasparenza; gli elettori non sono in larga parte sufficientemente informati ed esprimono un consenso politico sempre più debole; tante decisioni sono prese da “tecnici” in modo non democratico, con la giustificazione della competenza.

A questi problemi vanno aggiunti gli ostacoli non previsti: si è dilatato enormemente l’apparato burocratico, per sua natura non democratico; la democrazia presenta seri problemi di efficienza, nel senso che le sue decisioni sono sempre lunghe e complesse, rispetto ai sistemi autocratici (questo problema si riversa sulle scelte del sistema elettorale quando si tende a privilegiare la governabilità). Altri, in particolare Michelangelo Bovero discepolo di Bobbio, mettono in luce difetti e distorsioni relativi agli stessi fondamenti procedurali, considerati come condizioni minime della democrazia. Fra questi: la pratica esclusione dal voto della maggioranza degli immigrati, la concentrazione dei media, la mutazione leaderistica della vita pubblica, l’occupazione del potere da parte dei partiti (su calcola che 500.000 persone in Italia vivano di politica), sistemi elettorali discutibili, violazione della separazione dei poteri.

Il problema delle difficoltà si allarga ulteriormente, e forse anche più radicalmente, se ci si rivolge alle condizioni della società, la quale dovrebbe garantire i presupposti o rimuovere gli ostacoli che consentano il pieno funzionamento della democrazia; per citare alcuni problemi, una condizione della democrazia è sempre stata l’uguaglianza che in questi anni registra un arretramento e anche sono venuti meno tanti centri di dibattito pubblico che alimentavano la coscienza politica.

Indubbiamente, però, il fattore maggiormente preoccupante è il peso dominante dell’economia (tanto più attraverso la globalizzazione che nello stesso tempo la rafforza e la rende incontrollabile), che mette in crisi la possibilità di una visione politica e di una sintesi equilibrata dei diversi aspetti della vita umana. La globalizzazione infine fa sì che molte decisioni rilevanti siano prese altrove e a prescindere dalle regole democratiche.

  1. I valori della democrazia.

La democrazia esprime dei valori oppure è solo un sistema di regole procedurali necessarie per poter convivere e assumere delle decisioni comuni? Anche in questo caso dobbiamo ricorrere a Bobbio che ritiene che la democrazia abbia in sé dei valori impliciti e in proposito ne indica quattro: la tolleranza, la non violenza, il rinnovamento della società attraverso il dibattito, la fratellanza.

Si tratta di valori impliciti nel senso che l’esistenza della democrazia dovrebbe o averli come presupposti (come è possibile convivere senza tolleranza e in presenza di violenza?) oppure essere favoriti dalla democrazia e dal suo esercizio (così la fratellanza non è scontata, ma la vita democratica dovrebbe incoraggiarla e stimolarla).

Naturalmente ci sono molti altri valori, quali la libertà, la cultura, una convivenza migliore, una maggiore uguaglianza, un sistema umano meno economicistico, ma questi, sempre presenti, tendono a presentarsi in modo differente nelle diverse democrazie a misura delle proprie convinzioni e delle proprie scelte. La democrazia è in sostanza un grande contenitore, dipende da ciò che ci si mette dentro.

Non va trascurato infine il monito di Wolfgang Bockenforde, secondo cui “ lo Stato liberale secolarizzato vive di presupposti che non può garantire”, per ricordare che esistono dei fondamenti morali che sono un presupposto della nostra vita civile; non tocca allo Stato promuoverli, ma è compito di tutti preoccuparsi del loro costante sostegno.

  1. La democrazia sostanziale e il futuro della democrazia.

Abbiamo già constatato come tutte le democrazie attuali siano democrazie sostanziali nel senso che, data per acquisita la parte procedurale, la storia di ogni paese ha fatto sì che la politica degli Stati si allargasse riconoscendo nuovi diritti, soprattutto ma non solo sociali, e sviluppando molteplici attività economiche e di servizi. La società pluralista, nella forma attuale che potremmo definire “disorganizzata” rispetto a quella delle classi e delle masse di un tempo, sollecita molte e differenti domande, tanto da far dire a coloro che temono la democrazia (preoccupazione sempre presente perché sono molti coloro che vorrebbero più “ordine”) che siamo di fronte a un “eccesso di domanda”, che sarebbe un carattere specifico delle nostre società a cui è necessario rispondere con un’azione di contenimento ( era il consiglio della famosa “Trilaterale”).

A questa linea chiaramente conservatrice, se non reazionaria, occorre rispondere che i problemi si rivolvono non con “minore democrazia” ma, all’opposto, con “più democrazia”, facendo uscire la democrazia da uno stato di rassegnazione, di stanchezza, di immobilismo in cui sembra essere caduta: dunque un rilancio.

Certamente una maggiore democrazia deve avere una linea di orientamento e per questo ci sembra opportuno proporre, in conclusione, alcune linee di lavoro indicative, che non hanno carattere esclusivo, ma che intendono avviare una riflessione e un dibattito che si presenta quanto mai necessario.

1.Perchè una società sia considerata democratica non sono indubbiamente sufficienti delle elezioni periodiche (esistono ancora tanti stati dalle tendenze “bonapartiste”, cioè con elezioni plebiscitarie a favore del leader, e le forme populistiche oggi diffuse presentano molte analogie con questa visione). È la società intera che deve essere democratica nel suo modo di funzionare, nelle sue strutture, nel suo sentire. Per queto motivo sono estremante importanti i corpi intermedi, l’associazionismo, il sindacato, il Terzo Settore, le chiese, i centri culturali. Se lo scopo della società è il bene comune di tutti, esso è irraggiungibile senza il contributo delle società intermedie.

2.Occorre ristabilire un serio lavoro di base, nel contempo partecipativo e formativo. Questo lavoro non può che essere fatto dal basso, perché deve vedere la partecipazione e il coinvolgimento diretto delle persone e deve tendere a creare gruppi politici e di cultura politica, dentro e fuori dai partiti (ma sempre in uno spirito cooperativo perché si lavora per uno scopo comune), che siano esperienza e scuola di politica a partire dal livello locale.

3.La democrazia non è una cosa già fatta, già realizzata, data per scontata, come si tende a credere, un punto d’arrivo, una realtà che è solo da gestire. È il modo comune e sbagliato di pensare. La democrazia se non vive e cresce, si deteriora, regredisce; e così la gente perde fiducia e si alimentano rabbia e disinteresse. Occorre pertanto guardare in avanti, avanzare su questioni decisive, partendo dalle situazioni non risolte o risolte solo parzialmente. A riguardo sono presenti tre grandi problemi strutturali di democrazia che esigono di essere affrontati:

– il pieno riconoscimento civile, sociale, economico delle donne è ancora lontano;

– la maggior parte dei lavoratori sono “dipendenti” e questo significa per la maggior parte di essi un limite di base per la loro libertà e autonomia (da qui l’importanza della battaglia per la partecipazione dei lavoratori nelle imprese che inizia a porre il problema).

– gli immigrati in Italia sono oltre 5 milioni, ma coloro che partecipano alle istituzioni democratiche sono un numero irrisorio: rimangono cittadini di serie B, una condizione inaccettabile che deve essere contrastata.

4.Enorme e frequentemente distorsiva è l’influenza dei mass-media, soprattutto della TV. Occorre operare per l’indipendenza e la qualità dell’informazione: un primo passo in questa direzione potrebbe essere costituito dalla proposta di destinare una delle tre reti pubbliche a una gestione della società civile, in forme da stabilire.

5.Una sfida dalle dimensioni colossali è costituita dal problema dell’economia. “Il capitalismo è la più grande forza della nostra vita moderna” diceva Max Weber. Non è pensabile di resuscitare la vecchia linea della sinistra e il suo obiettivo di abbattere e superare il capitalismo. Una linea possibile, concreta ed efficace, può consistere nel sostenere parallelamente all’economia per il profitto, una seconda economia, una diversa economia, che conviva con quella presente, ma espressione di una logica e di una finalità differente; non solo la cooperazione e il Terzo Settore, ma anche tante altre proposte come il mutualismo, la democrazia associativa, le imprese pubbliche di proprietà dei cittadini,… e insieme anche imprese private che condividano la preoccupazione del benessere della società e delle persone, cittadini e lavoratori.

6.Infine la democrazia, oggi, non può fare a meno di essere aperta ai problemi mondiali. L’impegno in questa direzione è innanzitutto culturale, perché mentre la nostra vita quotidiana è ormai coinvolta costantemente nei processi commerciali mondiali, non abbiamo ancora preso sufficiente coscienza della realtà in cui siamo immersi. Sviluppare una cultura di apertura mondiale è la condizione per poter nel tempo avere la possibilità di influenzare e controllare le multinazionali e le reti internazionali che operano del tutto discrezionalmente. La situazione determinatasi con la globalizzazione, con la delocalizzazione di tanta parte dell’industria e la costante instabilità finanziaria e dei prezzi delle materie prime, mette in difficoltà tutte le economie nazionali, rendendo difficile agli Stati garantire la condizione sociale raggiunta. È questa una delle maggiori cause del malessere delle nostre società, che richiede nuovi equilibri mondiali, tutti da realizzare. Infine, si deve tener presente che la democrazia è un fatto essenzialmente occidentale (secondo il “Democracy Index” dell’Economist, nel mondo la “full democracy” esiste solo in 25 Stati, guarda caso tutti occidentali); ciò invita ad escludere la sua esportazione, mentre si presenta molto utile la cooperazione per sviluppare anche in altri paesi quelle condizioni economiche e di libertà che ne favoriscono il libero sviluppo culturale, sociale e politico.


Bibliografia minima.

Bobbio N., Il futuro della democrazia, Einaudi, Torino 1984

Bobbio N., Matteucci N., Pasquino G., Il Dizionario di Politica, voce “Democrazia”, Utet, Torino, 2004

Panikkar R., I fondamenti della democrazia, Edizioni Lavoro, Roma, 2000

Sartori G., Democrazia, Rizzoli, Milano 1993

Zolo D., Il principato democratico: per una teoria realistica della democrazia. Feltrinelli, Milano 1992


vai alle Dispense di cultura e formazione politica